02.06 " Dietro alla maschera "
di Bellatrix Laris, Pubblicato il 13-11-2014
IRS K'Lagh, 13 maggio 2282, ore 04:17 (universo imperiale)
I tre ufficiali federali si scambiarono uno sguardo ancora teso, ma da
cui trapelava il sollievo. L'appuntamento con la morte era stato
ritardato, evitando l'impatto col pianeta.
*Ma finché restiamo in questo universo ostile, le nostre speranze
danzano sulla lama di un rasoio...*.
Prospettiva che a Seldon non piaceva neanche un po'. Fino ad allora
aveva recitato la parte del capitano senza scrupoli e senza pietà, ma
dubitava che quella maschera sarebbe durata ancora a lungo. La recita
di Miral, poi, era stata ancor meno credibile.
*Sicuramente qualcuno ha già dei sospetti,* si disse Ricardo,
passandosi una mano sulla testa lucida di sudore *ed è meglio
svignarsela prima che quei sospetti si trasformino in certezze.*.
T'Val gettò un'occhiata alla sala macchine della nave klingon, ancora
avvolta nel fumo e sfrigolante per lo sforzo sostenuto. Le luci rosse
conferivano all'atmosfera un colore cruento, come se l'intera nave
sanguinasse. Fino ad allora lo scafo aveva retto, ma ancora per quanto
avrebbe sopportato le sferzate della tempesta ionica che imperversava
oltre le paratie?
"Capitano," intervenne il consigliere "temo che ormai non ci sia un
momento da perdere, se vogliamo avere qualche speranza di tornare nel
nostro universo natio...".
Seldon non poteva che darle ragione. Solo che fra il dire e il fare
pareva esserci di mezzo un'intera galassia. I dispositivi klingon,
oltre ad essere provati dalla tempesta, riuscivano quasi
incomprensibili agli occhi dei Federali. Miral gettò un'occhiata a una
consolle densa di numeri, dati dei sensori sull'intensità delle
scariche ioniche, e scosse la testa.
"Ci servirebbe Laris, in questo frangente.".
Ricardo aveva intravisto la Bellatrix dello Specchio e a stento
l'aveva riconosciuta. Di sicuro doveva essere competente ed esperta,
ma incapace di qualsiasi sorriso o espressione benevola.
*Per quanto, se l'avessi qui a interpretarmi i dati dei sensori e a
sistemare le coordinate per il teletrasporto, potrei sopportare con
piacere il suo cipiglio.*.
Ma Laris non c'era e il trio doveva accontentarsi delle poche nozioni
di teoria del trasporto apprese in Accademia. Si attorniarono alla
consolle del trasporto come di fronte a un corpo infetto. Miral provò
a sfiorare alcuni tasti.
"Capitano," disse l'Andoriano "se non ricordo male, deve esserci stata
una situazione simile, in passato. Mi pare che, circa quindici anni
fa, quattro ufficiali della nave Enterprise incapparono nello stesso
scambio di universo...".
"Riuscirono a rientrare?" la voce di Seldon tradiva tensione.
"Sì, capitano, tornarono. È necessario creare un contatto
interdimensionale, e probabilmente la tempesta ci sarà d'aiuto...".
Dall'espressione del comandante Miral si capiva che non aveva una
mezza idea di cosa si dovesse fare nella pratica. Erano ufficiali di
comando, non dediti alla scienza e all'ingegneria. Potevano avere
qualche familiarità con la tecnologia federale, da cui erano
abitualmente circondati, ma i dispositivi klingon erano tutt'altra
storia. Persino T'Val, nella sua inespressività vulcaniana, pareva a
disagio.
*Tutto quello che non mi serve è un seguito scoraggiato e abbattuto.*
pensò Seldon, cercando di racimolare coraggio dalle sue stesse parole.
Si sporse sulla consolle, sperando che le cifre verdognole del
computer si decidessero a parlargli e a rivelargli la soluzione
dell'enigma. L'idea del contatto interdimensionale puzzava quasi di
fantascienza, ma se esisteva una via per tornare a casa, tanto valeva
fare un tentativo.
*Anche se quel tentativo è l'unico che abbiamo a disposizione...*.
"Coraggio, Numero Uno, mi dia una mano,- incitò Miral, con occhi
febbrili -non mi piacerebbe ritrovarmi con i miei atomi a spasso per
dieci universi differenti...".
"Una situazione senz'altro sgradevole... 'capitano'".
I tre federali si voltarono simultaneamente verso la porta della sala
macchine. Fra i fumi e le luci scarlatte delle consolle, l'incarnato
verde della donna spiccava come non mai. Anche il disintegratore che
stringeva fra le mani non passava inosservato. Seldon represse un
brivido gelido lungo la spina dorsale e si concesse un attimo per
riflettere. Per quanto l'Orioniana fosse armata, restavano pur sempre
tre contro uno. Con un po' di fortuna, avrebbero anche potuto
scamparla, magari non indenni, ma pur sempre portando a casa la pelle.
Alejana parve leggergli nella mente.
"Non si azzardi a muovere un muscolo, 'capitano',- intimò -altrimenti
i suoi atomi si spargeranno per tutta la sala macchine. Resteranno
tutti in un solo universo, ma non credo che faccia gran differenza".
Come per magia, un'altra donna apparve alle spalle del comandante
King. Miral avvertì il cuore stringersi quando riconobbe il volto di
Polhymnya Miller. La donna, fasciata nella divisa nera dei MACO, non
sorrideva, ma impugnava un fucile di discrete dimensioni. Dietro di
lei stavano una decina di uomini, fra forze speciali e addetti alla
sicurezza.
Alejana King si concesse un sogghigno. Privare la nave di quasi tutti
gli ufficiali e affidarla nelle mani del tenente Laris non era di
certo una delle sue idee migliori, ma in quella manovra aveva pur
bisogno di fidarsi di qualcuno.
*E qualora al mio ritorno noti qualche disordine, credo che il dottor
Bouvier gradirà la compagnia della nostra scienziata betazoide...*.
Ma adesso doveva occuparsi dei suoi prigionieri. A un suo cenno, un
pugno di MACO accerchiò i tre Federali, ancora chini sulla consolle.
"Perquisiteli e portateli a bordo,- ordinò l'Orioniana -risponderanno
del rapimento dei nostri ufficiali sulla Thunder. Direttamente dalla
camera agonizzatrice.".
USS Thunder, ore 04:20 (universo federale)
Alejana non era a suo agio. Già il fatto che le fosse affidata la
plancia la metteva sotto pressione. Se si aggiungeva il fatto che non
riceveva notizie dal vascello klingon, c'era da andare fuori di testa.
Cercò di dominarsi, domandosi cosa avrebbero fatto Seldon o Miral in
quella situazione. Nessun rapporto, nessuna informazione.
*Non è da loro,- si disse -né metterci così tanto per tornare alla
nave, né lasciarci in questa attesa snervante...*.
Alejana tamburellò con le dita sulla poltrona del capitano. Anche in
plancia c'era silenzio, una plancia che sembrava grande e vuota senza
i tre ufficiali superiori. Tutti i guardiamarina se ne stavano con le
mani in mano, in attesa di un ordine.
*Ma quale ordine?*
L'ufficiale scientifico era il più alto in grado presente in plancia.
Laris non era un genio né un luminare nel suo campo, ma sorrideva
sempre e sapeva essere buona e gentile. Ad Alejana piaceva abbastanza.
In quell'istante, però, nemmeno la mezza Betazoide mostrava il suo
tipico sorriso. Aveva un'espressione piuttosto corrucciata, come se
stesse pensando ad un particolare spiacevole, mentre monitorava i dati
provenienti dalla tempesta ionica in attenuazione. Ruppe la monotonia
dell'attesa alzandosi dalla postazione scientifica e avvicinandosi a
King, con fare confidenziale.
"Tenente, c'è qualcosa che non mi torna" disse in un bisbiglio, quasi
temesse di farsi sentire dagli altri Federali presenti.
*Ottimo, non chiedevo altro!* pensò l'Orioniana, sentendo tendersi i suoi nervi.
"Il capitano, il primo ufficiale, il consigliere...- proseguì Laris
-... hanno qualcosa di strano. Lo sento anche a livello empatico...
Insomma, non è da loro questo silenzio.".
Non ci volevano i poteri empatici dei Betazoidi per capire che c'era
qualcosa di anomalo nella situazione, e Alejana fu tentata di
dirglielo a brutto muso.
"Ha sentito il capitano, dobbiamo attendere il loro ritorno..."
rispose invece, meccanicamente. Ma non fu sufficiente per ridurre
Laris al silenzio.
"Tenente, glielo posso assicurare, i nostri ufficiali superiori non
sono... normali, ecco. Quando sono comparsi in plancia li ho
riconosciuti a stento. A livello mentale, intendo. È come se le loro
onde cerebrali fossero cambiate...".
"Non la seguo, comandante".
"Insomma, le onde cerebrali sono come le impronte digitali:
identificano un individuo in modo univoco. E le posso assicurare che
quelle che il mio cervello ha percepito nel capitano poco fa non sono
le stesse di ieri o di sempre...".
Alejana guardò la Betazoide con uno sguardo carico di incredulità.
"Sta dicendo- domandò -che qualcuno si è infiltrato e ha preso il
posto di Seldon, Miral e T'Val? Senza che nessuno se ne accorgesse,
per di più, e divenendo una coppia perfetta, irriconoscibile
dall'originale?".
Bellatrix spostò il peso da un piede all'altro, a disagio.
"Tenente King, non so come giustificare la mia asserzione... ma sono
convinta di quello che dico. Sarò pur mezza Betazoide, ma i miei
poteri mentali sono abbastanza sviluppati da darmi queste certezze.
D'altronde, nemmeno io mi spiego come...-si interruppe all'improvviso,
portando un dito alle labbra e alzando gli occhi al cielo -... a meno
che non si sia aperto un varco, per quanto pazzesco possa
sembrare...".
Alejana stava per chiedere lumi su quella subitanea illuminazione,
quando la postazione comunicazioni trillò, illuminandosi per un
messaggio in arrivo dal vascello klingon.
IRS K'Lagh, negli stessi istanti (universo federale)
Polhymnya Miller non riusciva a riprendersi. Il colpo era stato troppo
duro, e non solo fisicamente. Vedere Miral, il suo dolce Miral,
colpirla senza pietà l'aveva lacerata.
*Non è il mio Miral- si disse -ma un infiltrato che ha le sue sembianze...*.
Il respiro che arrivava a fatica le rendeva difficile persino pensare.
L'aria entrava nei polmoni accompagnata da rantoli pietosi, mentre le
guance della donna erano umide di lacrime di dolore. Il fucile di
Miller era volato lontano, impossibile da recuperare. Al contrario,
gli intrusi avevano imbracciato di nuovo le loro armi. Ora erano
attaccati al dispositivo di occultamento klingon, berciando fra loro.
Il capitano Seldon (o quello che ne faceva le parti) strillava contro
gli altri due nella sua voce sgradevole.
"T'Val, ha per caso paura di sporcarsi quelle sue manine Vulcaniane?
Veda di rendersi utile!".
"Capitano, le ricordo che, appena tornati nel nostro universo, farò un
dettagliato rapporto all'ammiraglio Vorshak su tutto quello che sta
accadendo qui...".
"Al diavolo i rapporti e al diavolo Vorshak! Miral, qui, bisogna
recidere questo circuito di blocco...".
Parevano essersi dimenticati completamente di Miller. L'avevano
abbandonata lì, a terra e agonizzante, riprendendo il loro lavoro al
dispositivo di occultamento. Fra un singhiozzo e l'altro, Polly gettò
un'occhiata al terzetto. Il suo fucile giaceva appeso alla cintura di
T'Val, quindi inservibile.
*Le armi non possono aiutarmi...* pensò amaramente l'addetto alla
sicurezza. Provò a muovere un braccio. Il dolore e lo sforzo
necessario furono enormi, ma ci riuscì. Gli altri tre ufficiali, presi
nel loro lavoro e nei loro litigi, nemmeno se ne accorsero. Miller si
concesse un attimo per pensare. Il colpo era stato così potente che
non se la sarebbe cavata con un semplice ematoma. Aveva sicuramente
una costola fratturata, forse di più. Ogni istante che passava, il
dolore si faceva sempre più martellante. Tanto valeva tentare il tutto
per tutto.
*Ma Miral...*.
Non sapeva dove potesse trovarsi il suo Miral, l'uomo che l'aveva
sposata da poco, l'Andoriano di cui per anni era stata innamorata.
Poteva essere stato rapito e rimpiazzato da quel bruto pelleblu.
Magari lo avevano intrappolato da qualche parte a bordo della Thunder
o su Deep Space K-7.
*Oppure potrebbe essere morto*.
Polly si ricordò degli insegnamenti ricevuti in Accademia e non ebbe
più esitazioni. Si mosse ad una lentezza insostenibile, soffrendo per
ogni centimetro. Il suo braccio sinistro scivolò fino alla cintura,
con un gesto leggero, quasi impercettibile. Il tatto guidò Miller fino
al rivestimento del comunicatore. Le sue dita si strinsero
sull'oggetto come sull'ultima ancora di salvezza. Polly lo estrasse
con le forze che le rimanevano, portandolo accanto alla bocca,
appoggiandolo sul torace. Il comunicatore si aprì con uno schiocco
attutito, coperto da un'imprecazione di Seldon all'indirizzo di Miral.
Miller premette il pulsante centrale con un dito tremante. Il rumore
della comunicazione che si connetteva alla Thunder suonò alle sue
orecchie come un accordo celestiale. Gli Imperiali, invece, nemmeno se
ne accorsero. Polly cercò di parlare, pronunciando sillabe sconnesse
nel tentativo di sopprimere i singhiozzi, mentre sentiva sulle labbra
il sapore ferroso del sangue.
*Qualcuno mi sentirà, saranno in ascolto...*.
Polly ebbe appena il tempo di voltare lo sguardo che vide i freddi
occhi neri di T'Val su di lei, profondi come pozzi di tenebra e gelidi
quanto la grandine.
USS Thunder, nello stesso istante (universo federale)
Alejana si avviò personalmente alla consolle delle comunicazioni,
disinteressandosi della scienziata. Con dita sicure e impratichite
dall'esperienza, sfiorò i tasti del computer, aprendo il canale in
tutta la plancia. Alle orecchie di tutti giunse un rantolo, coperto da
uno stridente rumore di phaser.
=^=Mi... Miller... a... a... aiuto...=^=
King e Laris scambiarono un'occhiata tesa, proprio quando una voce
conosciuta risuonava in plancia, distorta dall'ira.
=^=Miral! Sarà ben in grado di fondere quella saldatura, oppure ha
bisogno di un'opportuna stimolazione?=^=
=^=Capitano, le faccio presente che noi MACO siamo militari, non
stramaledetti ingegneri!=^=
=^=E allora si industri a diventarlo!=^=
Gli occhi di Laris erano spalancati per il terrore, mentre tutti i
guardiamarina restavano attoniti a fissare il nulla. La voce di T'Val
rombò come un tuono sopra al ronzio dei fasci dei phaser.
=^=Capitano, il tenente Miller...=^=
Seguì un attimo di silenzio, rotto soltanto dal rantolo spasmodico di
Polhymnya. Alejana cedette alla tensione e afferrò con le unghie il
bordo della consolle. Si udì ancora un singhiozzo, poi il tono di
Miral prese il sopravvento.
=^=Cosa crede di fare, quella puttana in divisa rossa?=^=
Gli astanti in plancia sentirono ancora una volta il ben noto rumore
acuto del phaser. I pensieri di Bellatrix erano così intensi che poté
quasi vedere lo scintillio arancione. Un ultimo singhiozzo di Polly,
troncato all'improvviso. Un'interferenza della tempesta ionica
morente. Il silenzio che riempì la plancia l'istante successivo era
pesante come il piombo.