Home Home
 
 
 
 
 
 
ISS THUNDER - MISSIONE 03 RSS ISS THUNDER - Missione 03

03.08 " Cinque note "

di T'Val , Pubblicato il 13-11-2014

10/02/2283 - ponte 2


Non si sentiva niente. Nessun rumore. Nessuno, a parte il consueto ronzio
dei sistemi della nave.
E non potevano fare altro che aspettare.
Ricardo Seldon strinse i pugni, bestemmiando. Respirò a lungo, cercando di
calmarsi e riflettere. In fondo, quel silenzio poteva essere rassicurante.
Voleva dire che i pelosetti non erano ancora riusciti ad attraversare i
portelli che portavano a quell'area, e che avevano bloccato alle loro
spalle, durante la fuga dalla plancia. Ma non si sentiva nemmeno rumore di
combattimenti attorno a loro. Che cosa diavolo stavano facendo i MACO? Miral
avrebbe avuto delle spiegazioni da fornirgli non appena fosse riuscito ad
arrivare!
Il suo faser era quasi scarico, inutile come un pezzo di ferraglia, e sapeva
che quello di Aogawa era altrettanto inutile. Negli armadi da cui pendevano
le tute EVA non aveva trovato assolutamente niente che potesse aiutarli. Al
di là della paratia, c'era solo lo spazio. Non avrebbero avuto altro posto
dove fuggire, quando i pelosi fossero arrivati... SE i pelosi fossero
arrivati, si costrinse a pensare.
Di fronte a lui, c'erano i soli due superstiti dell'equipaggio di plancia.
Il ragazzo delle comunicazioni era stato morso più volte alle gambe.
Nonostante questo, era riuscito ad infilare la porta della plancia prima che
lui ed Aogawa potessero bloccarla. Seldon si chiese quanto ci sarebbe voluto
perché l'infezione facesse il suo corso... Il ragazzo alzò gli occhi,
incrociando il suo sguardo. Con uno sforzo, si tirò sul gomito, mettendosi
con le spalle alla paratia. Il suo sguardo era nero, quasi
di sfida. Non sembrava avere paura, anche se i capelli scomposti erano
intrisi di sudore. Seldon si accorse che il guardiamarina aveva stretto le
dita sull'impugnatura del suo pugnale. Quel ragazzo era troppo arrogante
per i suoi gusti, pensò Seldon. Come diavolo aveva fatto a sopravvivere
finora senza essere notato?
"Signore?" - il capitano si voltò verso Aogawa. Il tono del navigatore era
allarmato, e Seldon si tese, aspettando le brutte notizie.
"Stanno arrivando?" - domandò.
"No... Non ancora"
"Cosa, allora?" - abbaiò Seldon.
"Sono riuscito ad interfacciarmi al sistema di comunicazione interno con il
mio tricorder... In modo, almeno, da sapere se quegli animali si stavano
avvicinando alla nostra posizione"
"E allora?
"Non capisco, signore..." - disse, esitante - "Sarà meglio che guardi lei!"
Seldon passò il faser nell'altra mano, e prese l'oggetto che il timoniere
gli porgeva. Fissò il piccolo monitor.
"E' la sala ingegneria!" -
Seldon sentì le labbra disseccarsi. Non avrebbe mai creduto di provare
qualcosa del genere, in vita sua, per quante cose assurde e feroci avesse
visto. Era la sala ingegneria della sua nave, certo... Era il suo
equipaggio, quello che vedeva, certo. Certo? No, non ne era affatto certo,
per la miseria! Poteva riconoscere alcuni dei suoi. Ma non erano più i suoi.
I loro abiti erano a brandelli. Dalle lacerazioni, spuntavano pesanti
boccoli azzurro cielo.
E continuavano a lavorare.
I loro corpi sussultavano leggermente, a scatti, passando da una postazione
all'altra. Le teste ricoperte di pelo erano chine sui monitor della nave.
Uno degli uomini si voltò, la telecamera inquadrò per un lungo istante il
suo sguardo azzurro.
Perso.
Quell'uomo era perso.
Qualcosa, nella mente probabilmente ricordava ancora l'addestramento. Il suo
corpo continuava a premere i pulsanti in sequenza, come aveva fatto mille o
diecimila volte nei mesi precedenti. Ma non era più lui a governare il suo
corpo.
Seldon spense il tricorder. Adesso capiva perché la nave era così quieta.
Alzò lo sguardo sul ragazzo. Lui incrociò i suoi occhi e gli comparve
dentro un improvviso lampo di paura. Sarebbe stato anche lui...? Quanto ci avrebbe
messo?
Se non altro, osservandolo avrebbero saputo cosa aspettarsi, e quanto
aspettare prima di... Seldon alzò il faser, controllando la linea della
carica. Appena sufficiente, pensò...
S'irrigidì. Che cosa...?
Aogawa balzò in piedi, guardando verso la porta. Seldon d'istinto lo imitò,
poi si rese conto che il suono che li aveva allarmati non veniva dal
portellone bloccato...
"Che... Che cos'è?" - domandò Aogawa.
Seldon scosse la testa. Fosse dannato se lo capiva. Abbassò gli occhi verso
il ragazzo. Il bianco dei suoi occhi stava virando verso l'azzurro...
"Così in fretta?" - mormorò Seldon. Era stato morsa non più di
un'ora prima. Forse una mutazione del contagio, che rendeva più rapida la
trasformazione?
Scambiò uno sguardo con Aogawa.
Quindi puntò il faser e glielo scaricò sul petto.



Plancia.
Contemporaneamente.


Non riusciva a capire.
Miral regolò il comunicatore, passando da una frequenza all'altra. Inutile. Tutte le frequenze sembravano essere intasate da strani suoni inarticolati. Cinque note, costantemente ripetute. Si strappo' l'auricolare di dosso, scagliandolo via.
Che stava succedendo?
Pochi istanti prima, erano sbarcati in plancia. In tutti i corridoi, avevano dovuto combattere per ogni centimetro.
In plancia, non avevano trovato che cadaveri.
Poteva vedere di fronte a sé gli uomini nelle uniformi nere guardarsi attorno, disorientati, nella plancia resa spettrale dai cadaveri dilaniati.
Con la coda nell'occhio colse un movimento, e si rimise istantaneamente in guardia. Da sotto la poltrona centrale un pelosetto digrignò i denti, trascinando una invisibile zampa. Miral non perse tempo e lo inchiodò con una freccia. Tese le antenne, sentendo un rivolo gelido penetrargli nella divisa. Dove diavolo erano i suoi compagni? E come avevano fatto quei dannati animali ad infiltrarsi nelle loro comunicazioni? Si azzardò a lanciare uno sguardo verso il monitor delle comunicazioni. Era libero, in apparenza.
In apparenza, si ripeté.
Scambiò un cenno con Bellevue, che si strappo' a sua volta l'auricolare e si mise di guardia fronte alla grata. I corpi bruciacchiati dei pelosi mostravano che erano sbucati da lì in primo luogo. Potevano farlo un'altra volta.
"D'accordo..." - mormorò Miral. Forse era il caso di pensare a Seldon.




Infermeria, pochi minuti prima.



Doveva... Si, c'era qualcosa, qualcosa di importante che doveva fare.
Cosa... Non capiva. Non riusciva a ricordare. C'era uno strano odore, che
allarmava tutti i suoi istinti. Bruciato.
Fumo?
Attraverso le palpebre, filtrava ai suoi occhi una luce fredda e liquida,
come dal fondo di uno stagno. Con uno sforzo, Van Ladden si immerse in
quella luce, cercando di mettere a fuoco gli oggetti attorno a lui.
No, non era fumo l'odore che sentiva. Era l'odore di ozono, di polvere
bruciata. Qualcuno aveva appena sparato.
Faser.
Un'ombra si protese su di lui. Van Ladden istintivamente alzò le braccia,
afferrando l'essere alla gola. Lo strinse, chiamando a sé tutte le le forze
per spezzare il collo all'essere.
"Calma, dottore!" - intervenne una voce - "Telok mi serve ancora!"
L'uomo si voltò, ma non lasciò andare l'altro.
"Lei... Comandante T'Val!" - emise.
La donna era in piedi, vicino all'altro lettino diagnostico. Sul lettino,
Van Ladden identificò il corpo di Bellatrix Laris, ancora priva di
conoscenza.
"Sono lieta di scoprire che il piccolo problema da lei appena avuto non ha
influito sulla sua memoria tanto da non riconoscermi" - rimarcò la
vulcaniana, muovendo un passo nella sua direzione - "Adesso, vuole
cortesemente lasciare andare Telok? Preferirei evitare di farle perdere i
sensi un'altra volta per salvarlo... Come ho detto, mi serve ancora!"
"Perché no?" - disse il dottore. Lasciò andare il vulcaniano, che si
aggiustò la giubba e fece un passo indietro per permettere alla donna di
accostarsi a lui. - "In fondo non è lui che voglio"
"Se è Gant che vuole, temo di averla anticipata" - disse Telok, accennando
in direzione del pavimento. Van Ladden si sporse, per vedere il corpo
dell'uomo sul pavimento. La testa di Gant era dislocata in maniera
innaturale. Non ci sarebbe stato bisogno di un'autopsia per capire che il
vulcaniano gli aveva spezzato il collo, esattamente come lui aveva tentato
di fare allo stesso Telok appena pochi istanti prima.
"Peccato... Una morte fin troppo pietosa per lui"- commentò - "Per di più,
adesso non potrà dirci più niente"
T'Val lo aiutò a tirarsi a sedere sul lettino. Van Ladden perse un istante
per controllare i valori che comparivano sulla testata del lettino
diagnostico. Non dicevano nulla di buono, ma non poteva farci molto al
momento.
"Non ha molta importanza, dottore" - disse T'Val - "Gant difficilmente
avrebbe potuto dirci qualcosa in più di quanto possa dirci Telok"
Il dottor Van Ladden lanciò un'occhiata indagatrice al vulcaniano:
"Lui?"
"Sono un agente dei Servizi Segreti Imperiali, dottore" - disse Telok - "Il
mio compito, negli ultimi tre anni, è stato quello di infiltrarmi
all'interno di una cellula terroristica che a sua volta era riuscita ad
infiltrare la Flotta Imperiale"
"E non è riuscito ad impedire che questi terroristi riuscissero a compiere
un attentato contro la nave più importante della Flotta Imperiale?"
Telok scrollò le spalle.
"Non era quello il mio compito"
"Non era quello il suo compito?" - ripeté Van Ladden incredulo.
"Quanto sa dei metodi dei Servizi Segreti, dottore?" - domandò l'ufficiale
politico.
"Non c'è molto che abbia voglia di sapere" - rispose. Si alzò in piedi, a
fatica. Anche se non poteva provare dolore, i danni che Gant aveva procurato
al suo sistema neurale erano sufficienti a farlo barcollare. Allungò una
mano verso lo scaffale per prepararsi un ipospray. Poi poteva pensare a
Bellatrix... e al resto, rifletté.
"Atteggiamento salutare, il suo" - commentò T'Val - "Comunque, quando un
agente come Telok viene utilizzato come infltrato, i Servizi hanno cura non
solo di fornirgli un nome ed un passato plausibili, ma anche dei ricordi
plausibili. Telok, fino al momento in cui non avesse sentito il comando post
ipnotico che gli avesse ricordato chi era, sarebbe stato convinto
sinceramente di essere un terrorista e si sarebbe comportato di conseguenza"
"Un sistema per evitare di rivelarsi accidentalmente?"
"O anche non accidentalmente. Ci sono anche vulcaniani e betazoidi fra i
terroristi. Sistemi come la fusione mentale vulcaniana o anche la tortura
non farebbero niente ad uomini come Telok. I ricordi impiantati
impedirebbero di scoprirlo, a meno che non riuscissero a trovare nella mente
dell'agente la frase - l'unica - che innesca la memoria reale"
"Il gruppo di cui faceva parte anche Gant era piccolo, ma pericoloso" -
aggiunse Telok - "Ne fa parte un ex schiavo vulcaniano, un certo Kaleb...
Maledettamente intelligente. Sono anni che riesce a sfuggire alla cattura.
Il mio compito era arrivare a lui, e distruggerlo assieme ai suoi. Ma il
comandante, qui, è stata costretta ad intervenire sulla mia programmazione
prima che io potessi compiere la mia missione"
"Se i terroristi fossero riusciti a bloccare questa nave prima dell'arrivo a
Ptolomeus III, difficilmente lei avrebbe potuto compiere la sua missione,
Telok" - intervenne secca T'Val.
L'uomo non commentò, e si limitò a chinare leggermente il capo.
"Uhm" - assentì Van Ladden. Dal lettino sul quale era distesa Bellatrix
Laris si sentì un sospiro che assomigliava ad un lamento. L'uomo si accostò
al suo lettino, fingendo di controllarne i valori sui macchinari.
"Tutto questo è molto interessante... O lo sarà per i Servizi della Flotta.
A me interessa invece sapere se lei" - puntò un dito contro il petto di
Telok - "ha una vaga idea del modo per disinfestare la nave da quei
maledetti parassiti che hanno portato a bordo... Perché siete stati voi a
portarli a bordo, vero?"
"Quelli geneticamente modificati dal nostro groppuscolo, si" - ammise
Telok - "Non tutti. Alcuni sono stati effettivamente modificati dai suoi
esperimenti, e su quelli non abbiamo alcun controllo."
"Un momento... Vuol dire che abbiamo un controllo almeno su una parte di
quei parassiti?"
Telok assentì:
"Gli animali, modificati secondo gli appunti di uno scienziato dimenticato
da molto tempo chiamato Palox, hanno un codice inserito nella loro
programmazione. Sono programmati per rispondere ad un richiamo"
"Un richiamo?" - domandò Van Ladden
"Una sequenza di note" - confermò Telok - "Per la precisione, le cinque note
iniziali di una antica ballata di Ptolomeus III, suonate da un'arpa
vulcaniana"
"Questo non aiuterà a salvare la parte dell'equipaggio già contaminata" -
notò Van Ladden, cercando di non far trapelare il proprio sollievo. Il
capitano non avrebbe potuto salvare la sua favorita, non senza che lui
trovasse un vaccino per i contagiati.
"E' il motivo per cui abbiamo avuto cura di svegliarla subito, dottor Van
Ladden" - sottolineò T'Val, guardando ostensibilmente verso la figura distesa di Bellatrix Laris - "Credo che avra' bisogno di lei, non e' vero...?"
Quindi fece un accenno a Telok - "Noi andiamo ad
occuparci del richiamo. Credo che il capitano sia molto ansioso di vedere la
sua nave liberata dai parassiti!"