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DS16GAMMA - MISSIONE 31 RSS DS16GAMMA - Missione 31

31.05 "L'imperatrice e l'imbonitore"

di Steje Aymane, Pubblicato il 17-10-2025

Stazione meteorologica abbandonata - Sistema Navorian
02/07/2405 - ore 02:30



Il risveglio fu graduale e doloroso. Steje aprì gli occhi lentamente, la testa che pulsava per gli effetti residui della presa vulcaniana. La prima cosa che percepì fu il silenzio innaturale di un luogo abbandonato. La seconda fu il freddo del metallo sotto la schiena. La terza fu la presenza degli altri.

Si mise a sedere con cautela, la mano che istintivamente cercava il comunicatore che non c'era più. L'ambiente era ampio e decrepito: una vecchia stazione meteorologica automatizzata, forse dismessa da anni. Pannelli arrugginiti coprivano le pareti, e attraverso un oblò sporco si intravedeva il bagliore di una gigante gassosa color ambra. Luci di emergenza morenti creavano ombre dure sul pavimento metallico.

Intorno a lui, gli altri quattro stavano riprendendo coscienza. Rerin si massaggiava la spalla dove il phaser lo aveva colpito, il volto contratto in un'espressione di rabbia fredda. Rogal era già in piedi, le spalle tese come quelle di un predatore in gabbia. Alessandro Riccardi si stava alzando con movimenti controllati, gli occhi che scandagliavano metodicamente l'ambiente. E infine, nell'angolo più lontano, un giovane cardassiano osservava gli altri con un misto di terrore e diffidenza.

"Dove siamo?" chiese Rerin, la voce roca.

Steje si avvicinò all'oblò, studiando il panorama. "Una stazione meteorologica, direi. Abbandonata. Forse nel sistema Navorian, a giudicare dalla gigante gassosa là fuori." Si voltò verso gli altri. "La domanda è: come ci hanno portati qui? E perché?"

"Una navetta, presumibilmente" disse Riccardi, tastando la parete più vicina. "Questa struttura è vecchia, ma i sistemi di supporto vitale funzionano ancora. Qualcuno l'ha preparata apposta."

Rogal si avvicinò alla porta sigillata dell'unica uscita visibile, tastando i controlli. "Bloccata. E rinforzata." Colpì il metallo con il pugno, frustrato. "Cosa diavolo sta succedendo? Perché Tara..." La sua voce si spezzò per un istante.

"È successo anche a te, quindi" disse Steje con calma. "Anche a te è venuta una donna, armata di una spada cerimoniale."

Rogal si voltò bruscamente. "Come fai a saperlo?"

"Perché è successo anche a me" rispose Steje. "L'ambasciatrice T'Lani è venuta nei miei alloggi. Aveva una di quelle spade rubate dalla stiva. E mi ha fatto una domanda."

Un momento di silenzio teso. Poi Rerin parlò, la voce carica di rabbia contenuta. "Bly. È entrata nel mio alloggio con i codici di emergenza medici. Armata. Ha fatto la stessa cosa."

"Durani" aggiunse Riccardi cupamente. "Nel mio ufficio. Pensavo stesse scherzando, all'inizio. Poi mi ha colpito con un phaser prima che potessi reagire."

Tutti gli occhi si voltarono verso Korda, che si strinse nelle spalle difensivamente. "Una vulcaniana. Si faceva chiamare T'Liren. Mi ha trovato su Bajor, dove lavoravo in un centro di bonifica. Mi ha promesso una vita migliore, un'avventura. E io..." deglutì "...le ho creduto."

Steje annuì lentamente, i pezzi che cominciavano a comporsi. "Tutti rapiti da donne. Tutte con spade cerimoniali. Quale domanda ti hanno fatto?"

"Quando il tuo Impero è in ginocchio, l'onore è un peso, e la gloria è perduta: cosa sacrifichi per risollevarlo?" recitò Riccardi. "Identica, parola per parola."

"Anche a me" confermò Rerin.

Rogal strinse i pugni. "Tara me l'ha chiesto mentre teneva quel dannato phaser puntato contro di me. Nei nostri alloggi, davanti all'armatura di Lukara." Una pausa, poi aggiunse con un misto di frustrazione e orgoglio involontario: "Mi ha steso. La mia compagna, che pesa la metà di me, mi ha steso come un novellino al suo primo giorno di addestramento. Devo ammettere che, se non fossi così furioso, sarei tremendamente orgoglioso."

Un silenzio pesante calò nella stanza abbandonata. Fu Korda a romperlo, la sua voce giovane e carica di risentimento.

"Almeno voi conoscevate quelle donne. Io sono stato rapito da una completa sconosciuta che mi ha promesso una nuova vita, e adesso sono qui, non so dove, con quattro sconosciuti che sono chiaramente ufficiali importanti della Flotta Stellare."

Steje lo studiò. C'era vergogna in quegli occhi, e rabbia contro se stesso. Un ragazzo che aveva visto un'opportunità e l'aveva afferrata, solo per scoprire di essere una pedina in un gioco più grande.

"Non è colpa tua" disse Steje con fermezza. "Qualunque cosa ti abbia detto, era l'armatura a parlare attraverso di lei. Come ha parlato attraverso tutte loro... credo che sia il caso che mi raccontiate nel dettaglio quello che è successo."

"Ma perché?" chiese Riccardi dopo che ognuno di loro aveva ripercorso gli eventi che l'avevano portato lì. "Cos'hanno in comune queste domande? Perché proprio noi cinque?"

Prima che Steje potesse rispondere, un suono meccanico riecheggiò nella stanza. Una porta laterale, precedentemente invisibile nella penombra, si aprì con un sibilo pneumatico. Le cinque donne entrarono in fila, i volti impassibili, gli occhi distanti. T'Lani, Bly, Tara, Durani, e infine la vulcaniana che Korda aveva chiamato T'Liren. Ognuna portava una spada cerimoniale klingon, le lame che riflettevano la luce morente in bagliori cremisi.

E dietro di loro, trasportata da un dispositivo antigravità, c'era l'armatura di Lady Lukara. Il metallo brunito sembrava pulsare di vita propria, le rune antiche che brillavano di una luce dorata e spettrale.

Steje si alzò lentamente, le mani aperte in segno di non aggressione. Osservò attentamente le donne. I loro movimenti erano sincronizzati, quasi coreografici. Ma c'era qualcosa... piccole discrepanze. Il modo in cui Bly esitava appena prima di ogni passo. La tensione nelle spalle di Tara, come se stesse combattendo contro catene invisibili. Il tremore quasi impercettibile nelle dita di T'Lani.

Non erano completamente perdute. Non ancora.

Fu T'Lani a parlare, ma la voce che uscì dalla sua bocca era stratificata, come se due entità parlassero all'unisono, la vulcaniana e qualcosa di molto più antico.

"I cinque sono stati scelti. Ognuno ha superato la prova della verità. Ognuno ha dimostrato la volontà di sacrificio. Ora viene la prova finale."

"Quale prova?" chiese Rogal, facendo un passo avanti. Il suo sguardo era fisso su Tara, cercando disperatamente un segno della donna che amava dietro quella maschera glaciale.

"Il rito del sangue" rispose T'Liren, la custode. "Cinque candidati, cinque spade. Solo uno può emergere degno di indossare l'armatura di Lukara. Solo uno può diventare l'erede di Kahless."

"Un combattimento all'ultimo sangue" mormorò Durani, quasi con riverenza. "Come nelle antiche leggende."

"No" disse Steje con fermezza. Tutti gli occhi si voltarono verso di lui. "No, non lo faremo."

T'Lani lo fissò, la testa inclinata con curiosità aliena. "Non hai scelta, Capitano. La prova è stata stabilita mille anni fa. Deve compiersi."

"Tutto ha sempre una scelta" ribatté Steje. Cominciò a camminare lentamente, mai troppo veloce da sembrare minaccioso, mai troppo diretto. Gli anni al circo gli avevano insegnato che il movimento controllato poteva ipnotizzare quanto le parole. "Mi dica, ambasciatrice T'Lani... quando mi ha fatto quella domanda nei miei alloggi, cosa ha provato quando le ho risposto che avrei sacrificato la logica stessa?"

Un'ombra di incertezza passò sul volto della vulcaniana. "Io... la spada ha accettato la tua risposta."

"Sì, ma lei cosa ha provato?" insistette Steje. "Prima che la spada rispondesse. Prima che quella voce antica le dicesse cosa pensare." La voce del capitano divenne dura e il modo formale di rivolgersi alla vulcaniana cambiò drasticamente: "Tu, T'Lani, figlia di Vulcano, diplomatica della Federazione. Cosa hai provato quando un capitano della Flotta Stellare ti ha detto che avrebbe sacrificato il principio fondamentale della tua intera civiltà?"

La vulcaniana esitò. Le sue labbra si aprirono, poi si chiusero di nuovo. Il conflitto era visibile ora, una battaglia silenziosa dietro quegli occhi scuri.

Steje si voltò verso Bly. "Dottoressa, quando Rerin ti ha detto che avrebbe sacrificato se stesso per sua figlia, cos'hai sentito? Tu che sei una guaritrice. Tu che sei una betazoide ed hai percepito ogni sfumatura del suo amore disperato per quella bambina."

Le mani di Bly tremarono. La spada quasi le scivolò dalle dita. "Io... ho sentito..." La sua voce si incrinò. "Ho sentito dolore. Il suo dolore. E il mio."

"Esattamente" disse Steje con gentilezza. "Perché tu non sei solo uno strumento di Lukara. Sei Bly Dorien. Sei una persona con emozioni, ricordi, legami. E quella voce nella tua testa, per quanto antica e potente, non può cancellare chi sei veramente."

Si spostò verso Tara. Rogal si irrigidì, pronto a intervenire se fosse stato necessario, ma Steje gli fece un gesto discreto per calmarlo.

"Comandante Keane" disse Steje, la voce più bassa ora, quasi intima. "Tara. Tu sei stata scelta per la tua dualità: Metà umana, metà klingon." Steje si era ormai fatto un quadro della situazione e perché quelle specifiche donne erano state scelte. "Tutta la tua vita sei stata divisa tra due mondi, due culture, due modi di vedere l'universo. E hai trovato qualcuno che ti ha accettata per quello che sei. Qualcuno che non ti ha mai chiesto di scegliere."

Gli occhi di Tara si riempirono di lacrime. La prima vera emozione che mostrava da quando era entrata.

"Rogal..." sussurrò, la voce rotta.

"Sono qui" disse l'ambasciatore, facendo un passo avanti. "Sono qui, mio cuore."

"No!" La voce di T'Liren, o forse di Lukara attraverso di lei, risuonò nella stiva. "Non puoi interferire con il rito! La prova deve compiersi!"

Ma Steje aveva già visto la crepa. Si voltò verso Durani, la guerriera senza gloria.

"Tenente, tu hai scelto Alessandro Riccardi. Un umano. Non per il suo sangue klingon, che non ha. Ma per il suo onore. Per il rispetto che ha guadagnato ai tuoi occhi. Credi davvero che Lady Lukara, compagna di Kahless l'Indimenticabile, volesse che tu lo obbligassi ciecamente a un rito di sangue? O voleva che tu dimostrassi saggezza? Che tu scegliessi l'onore vero sopra la tradizione vuota?"

Durani guardò la sua spada, poi Riccardi, poi di nuovo la spada. "Io... il mio casato... devo riportare gloria..."

"La gloria non si trova nel sangue versato senza ragione" disse Riccardi con fermezza. "Si trova nel coraggio di fare ciò che è giusto, anche quando è difficile. Anche quando va contro ciò che ti è stato insegnato."

Finalmente, Steje si voltò verso l'armatura stessa. Si avvicinò al dispositivo antigravità, ignorando i mormorii di allarme delle donne. Si fermò a pochi centimetri dal metallo brunito, fissando le rune antiche.

"Lady Lukara" disse chiaramente. "Io non so se puoi sentirmi. Non so se sei davvero qui, o se sei solo un'eco, una memoria impressa nel metallo. Ma se c'è anche solo un frammento della vera Lukara in questa armatura, allora devi ascoltarmi."

Silenzio. L'armatura sembrava osservarlo, valutarlo.

"Tu amavi Kahless" continuò Steje. "Non perché era il guerriero più forte. Ma perché aveva la visione di unire il tuo popolo. Di trasformare clan in guerra perpetua in un impero. Di sostituire il caos con l'ordine, la violenza cieca con l'onore codificato. Tu stavi accanto a un rivoluzionario, Lukara. Non a un semplice assassino."

Le rune sull'armatura cominciarono a brillare più intensamente.

"E adesso vuoi che cinque persone che si rispettano, che potrebbero essere alleati, si uccidano a vicenda? Per cosa? Per ripetere un rito creato in un'epoca di guerra e disperazione? Kahless non divenne imperatore uccidendo i suoi amici. Divenne imperatore ispirandoli. Guidandoli. Mostrandogli una via migliore."

Steje fece un passo indietro, allargando le braccia per indicare tutti i presenti.

"Guarda cosa hai fatto, Lukara. Hai preso cinque donne straordinarie —una diplomatica, una guaritrice, una guerriera, una donna che ha fatto pace con la sua doppia natura, e una che cerca redenzione— e le hai trasformate in burattini... Hai preso cinque uomini che avrebbero potuto dimostrare il loro valore in mille modi diversi, e li hai costretti a un gioco di morte. Questo è ciò che Kahless avrebbe voluto? Questo è l'eredità che volevi lasciare?"

L'armatura pulsò. Le rune brillarono così intensamente che tutti dovettero distogliere lo sguardo. E poi... una voce. Non attraverso le donne questa volta, ma direttamente nella mente di tutti i presenti. Antica, femminile, carica di un dolore millenario.

"Tu... osi giudicarmi, piccolo Trill?"

"Sì" rispose Steje senza esitazione. "Perché qualcuno deve farlo. Tu sei rimasta intrappolata in questa armatura per mille anni, Lukara. Hai visto l'impero che tu e Kahless avete costruito attraverso gli occhi di chi ti ha trovata, rubata, nascosta. Hai visto solo frammenti, mai il quadro completo. E nella tua solitudine, nella tua incompletezza, hai dimenticato la cosa più importante."

"E quale sarebbe?" La voce era pericolosa ora, carica di potere represso.

"Che Kahless non aveva bisogno di te perché eri una guerriera. Aveva bisogno di te perché eri la sua compagna. La sua uguale. La sua coscienza. Tu lo tenevi ancorato quando il peso del potere rischiava di corromperlo. E lui ti amava per questo."

Steje guardò Tara e Rogal, poi Bly e Rerin, poi tutti gli altri.

"L'amore vero non chiede sacrifici di sangue, Lukara. Chiede sacrifici di ego. Di orgoglio. Di tradizioni morte che non servono più. Kahless lo sapeva. Per questo ascoltava il tuo consiglio. Per questo ti rendeva parte delle sue decisioni. E lo sai anche tu, nel profondo. Altrimenti non avresti scelto queste cinque donne. Non perché sono le più forti guerriere. Ma perché ognuna di loro ha dimostrato la capacità di amare qualcosa più grande di se stessa."

Il silenzio che seguì fu assoluto. L'armatura pulsava ritmicamente ora, come un cuore che batte. Le cinque donne tremavano visibilmente, lacrime che scendevano lungo i loro volti mentre la presa dell'antica entità si allentava.

"Tu... tu sei astuto, Trill. Kahless avrebbe apprezzato il tuo inganno."

"Non è un inganno" disse Steje sinceramente. "È la verità. E credo che tu lo sapessi già. Questa prova non era mai stata pensata per finire con la morte. Era pensata per vedere se qualcuno avrebbe avuto il coraggio di rifiutare. Di scegliere un'altra strada. La tua strada. Quella della guerriera che stette accanto a un visionario invece di seguire ciecamente la tradizione."

Un ultimo bagliore, accecante e dorato, esplose dall'armatura. Tutti chiusero gli occhi, le braccia alzate a proteggersi. E quando la luce si spense, le cinque donne caddero in ginocchio, libere e confuse.

Rogal corse immediatamente da Tara, sostenendola mentre crollava tra le sue braccia. Rerin si precipitò da Bly, che singhiozzava incontrollabilmente, il peso del dolore che aveva causato che la schiacciava. Riccardi si chinò accanto a Durani, una mano sulla sua spalla in silenzioso supporto. Korda guardò T'Liren con espressione incerta, ma la vulcaniana era troppo scossa per notarlo.

Solo T'Lani rimase in piedi più a lungo, il controllo vulcaniano che lottava contro le emozioni che la travolgevano. Si avvicinò a Steje, lo sguardo intenso.

"Come... come hai fatto?" sussurrò.

Steje sorrise tristemente. "Ho imparato molto tempo fa che il modo migliore per sconfiggere un'illusione non è combatterla. È farla vedere per quello che è. E Lukara... Lukara era sola da troppo tempo. Aveva bisogno che qualcuno le ricordasse chi era stata davvero."

Dal pavimento, l'armatura di Lady Lukara giaceva silenziosa. Le rune non brillavano più. Sembrava solo un pezzo di metallo antico, privo del potere terrificante che aveva esercitato. Ma nell'aria aleggiava ancora qualcosa, una presenza più leggera ora, forse persino grata.

"È finita" disse Rerin, la voce roca. "Finalmente è finita."

Ma proprio mentre pronunciava quelle parole, una sezione della parete opposta esplose verso l'interno con uno scoppio di energia.

Due figure irruppero attraverso il fumo e i detriti: un uomo umano di mezza età con il volto segnato dalla vita, e una vulcaniana con gli occhi freddi e calcolatori.

La vulcaniana —la vera ladra, non T'Liren che giaceva esausta a terra— aveva un espressione soddisfatta mentre osservava la scena. "Perfetto. Hai fatto un ottimo lavoro con il sabotaggio della navetta, Robert."

L'umano ridacchiò mentre armeggiava con un dispositivo di teletrasporto portatile. "Era l'unica nave disponibile per portarli qui. Un po' di manomissione ai sistemi di propulsione e comunicazione, e ora hanno tutte le difficoltà del mondo a tornare indietro. Bene, bene. Vedo che la piccola reunion spirituale è andata per il meglio. Peccato per voi, ma noi abbiamo ancora un cliente da accontentare."

Steje fece per muoversi, ma Robert puntò immediatamente un disgregatore verso di lui. "Ah-ah, Capitano. State tutti buoni e nessuno si farà male. Siamo qui solo per quella bellissima armatura."

"Non potete..." iniziò T'Lani, ma la sua voce era debole, esausta.

"Oh, ma possiamo" disse la vulcaniana senza nome, avvicinandosi all'armatura. Studiò brevemente il dispositivo antigravità, poi annuì soddisfatta. "Disattivata, per fortuna. Non avevo voglia di dover combattere contro un'entità millenaria."

"Chi vi ha assoldato?" chiese Steje, cercando di guadagnare tempo. La sua mente lavorava freneticamente. Le donne erano troppo deboli per combattere. Gli uomini erano disarmati. E questi due avevano chiaramente pianificato questo momento con precisione chirurgica.

Robert sorrise. "Un gentile benefattore klingon che preferisce rimanere anonimo. Diciamo solo che alcuni casati dell'Impero non sono molto felici della prospettiva che l'armatura di Lukara cada nelle mani del Cancelliere attuale. Preferiscono... alternative."

"Traditori" sibilò Rogal, facendo per alzarsi. Tara lo trattenne con una mano tremante.

"Chiamala come vuoi, ambasciatore" disse la vulcaniana, attivando il teletrasporto. L'armatura cominciò a brillare di un bagliore azzurrino. "Noi la chiamiamo sopravvivenza. E latinum. Molto latinum."

"Aspettate!" gridò T'Liren, la vera T'Liren, la ladra infiltrata che aveva guidato il piano di Lukara. Si alzò barcollando. "Io... io ho rubato le spade per voi. Ho fatto tutto quello che mi avevate chiesto. Dovevo venire con voi!"

Robert la guardò con qualcosa che somigliava quasi a compassione. "Piccola, tu ci sei stata utile. Ma quella voce nella tua testa? Quell'armatura che ti chiamava? Ci ha reso la vita molto più complicata. Troppo complicata. Mi dispiace, ma viaggiamo leggeri."

"No!" T'Liren si lanciò verso l'armatura, ma era troppo tardi. In un lampo di luce azzurra, l'armatura di Lady Lukara, Robert e la vulcaniana senza nome sparirono.

Rimasero solo il giovane Korda —spaventato e tradito quanto tutti gli altri— e i segni dell'esplosione che crepitavano ancora sulle pareti della stazione meteorologica abbandonata.

Nella stiva calò un silenzio pesante come il piombo.

"Maledizione" sussurrò Riccardi.

Steje chiuse gli occhi, la frustrazione che gli stringeva il petto. Erano stati giocati dall'inizio. La vulcaniana aveva rubato le spade, sì, ma non per Lukara. Per i suoi complici. Aveva usato l'armatura per creare il caos perfetto, sapendo che mentre tutti erano distratti dal rito mistico, nessuno avrebbe notato i veri ladri che si preparavano.

"Dobbiamo tornare alla base" disse T'Lani con voce roca. "Immediatamente. E avvisare il Comando di Flotta. E l'Impero Klingon. Quella armatura non può cadere nelle mani sbagliate."

"È già caduta nelle mani sbagliate" disse Rogal amaramente, stringendo Tara a sé. "E ho un'idea molto precisa di quale casato abbia orchestrato tutto questo. Ma senza prove..."

"Allora troviamo le prove" disse Steje con fermezza, riaprendo gli occhi. La stanchezza era evidente sul suo volto, ma anche la determinazione. "Hanno commesso un errore lasciandoci tutti vivi. E hanno commesso un errore ancora più grande sottovalutando quanto siamo motivati a riprendere quell'armatura."

Si voltò verso Durani. "Tenente, hanno parlato della sua nave. Riesce a riportarci alla base?"

Durani annuì, spolverando inutilmente la sua divisa. "Non lo so Capitano, devo vedere che danni hanno provocato."

"Bene. Facciamolo." Steje si voltò verso tutti gli altri. "So che siete esausti. So che quello che è successo questa notte vi perseguiterà per molto tempo. Ma non è finita. L'armatura di Lady Lukara è ancora là fuori. E noi la riporteremo indietro. Per l'Impero. Per la Federazione. E per Lukara stessa, che merita di riposare in pace."

Uno dopo l'altro, annuirono. Stanchi, provati, ma non sconfitti.

La caccia era appena iniziata.