Lungo il percorso che portava all'alloggio di Knight, Selenjak
cominciò a rimuginare su quello che avrebbe detto al Capitano.
Aveva molto da dire, e per questo si chiedeva in che ordine fosse più
logico affrontare gli argomenti, in modo da non rovesciare nella gia'
oberata mente del Capitano una valanga di dati, osservazioni, dubbi e
problemi da risolvere.
La cosa di cui Selenjak avrebe parlato più volentieri con Knight era
la cena con Data, ma questo argomento era sicuramente il più
irrilevante, per cui non era il caso di affrontarlo, almeno per
quella volta - senza contare che non avrebbe saputo esatamente cosa
dire - mentre tutti gli altri argomenti erano ugualmente importanti e
gravi.
Arrivò alla conclusione che sarebbe stato meglio affrontare il
problema della sua situazione: l'unico che in qualche modo avrebbe
potuto presentare degli imprevisti non risolvibili con le proprie
forze.
Stilò mentalmente un breve riassunto di quanto avrebbe dovuto esporre
ed imboccò il corridoio che portava agli alloggi di Knight.
Molti pensieri - quasi tutti opprimenti - affollavano la mente di
Selenjak, ma all'improvviso si fece largo nella sua mente una sorta
di lampo:
Ora si trovava in tutt'altro luogo: un posto lugubre che avrebbe
sicuramente impressionato un essere dotato di minore autocontrollo.
Si trattava di una sorta di trincea a più livelli concentrici,
scavata in una pietra molto friabile: una specie di castello di
sabbia al contrario.
Sicuramente era in corso qualche evento drammatico, forse una guerra
civile: uno di quegli eventi che portano dolore, distruzione ed
epidemie.
Selenjak si guardò intorno: ovunque posasse lo sguardo, c'era gente
sofferente; il suo impulso primario fu quello di correre in soccorso
degli innumerevoli malati e feriti, ma si rese conto che non sarebbe
stato possibile salvarli tutti: erano troppo numerosi, e tutti in
condizioni molto precarie.
La Vulcaniana continuò a guardarsi attorno, sempre più velocemente: i
pazienti aumentavano a dismisura; tutti si lamentavano, molti le
rivolgevano uno sguardo disperato, altri tendevano le braccia verso
di lei, in cerca di aiuto.
Chi avrebbe dovuto assistere per primo (rischiando di condannare gli
altri ad una fine atroce) ? Che fare ? Ormai il suolo era
interamente ricoperto di corpi mutilati, gente con ferite
sanguinanti, persone incondizioni pietose, e la situazione continuava
a peggiorare.
La dottoressa non aveva con sé nemmeno il kit medico di emergenza:
avrebbe dovuto fare l'impossibile con mezzi difortuna, ma il compito
era sproporzionato alle sue forze: non avrebbe potuto salvare che un
paio di persone al massimo, in quella condizione.
Cerco' di mantenere il proprio sangue freddo, per valutare quale fosse
il primo paziente da assistere, ma il compito era davvero arduo:
erano tutti cosi' devastati, cosi' vicini alla fine....
I pochi ancora in grado in grado di parlare, si appellavano alle
poche forze rimaste per chiamarla per nome: "Selenjak...." - quasi
un sussurro, o forse un gemito che veniva da molto lontano:
"Dottore, aiutami !"
"Selenjak...."
"Dottore, La prego, non mi lasci!" "Selenjak...."
"Selenjak....""Selenjak..."
"Selenjak! Mi sente? Riesce a sentirmi ? "
La voce di Knight risuonò per tutto il corridoio.
Il Capitano si era affacciato sulla soglia del proprio alloggio:
aveva sentito suonare, ma alla sua risposta, nessuno era entrato.
Aveva ripetuto più di una volta l'invito ad entrare, ma senza esito,
per cui si era deciso ad uscire, per vedere cosa fosse successo.
Selenjak era immobile, davanti all'ingresso dell'alloggio di Knight,
con il braccio ancora appoggiato al campanello; aveva gli occhi
aperti, ma la sua mente era evidentemente altrove.
Knight, aveva provato a chiamare la dottoressa più d'una volta, senza
risultato; preoccupato per la situazione, pose una mano sulla spalla
della Vulcaniana, con un gesto pieno di attenzione paterna.
Al suo tocco, Selenjak sembrò tornare in sé: lo sguardo si fece meno
vitreo e Knight ebbe l'impressione che la dottoressa fosse uscita
improvvisamente da uno stato simile all'ipnosi.
"Va tutto bene?" chiese Knight, con un tono molto premuroso
"Si', io stavo.... io stavo....."
"Forse sarebbe meglio se si accomodasse e si sedesse per qualche istante"
"Si', sarebbe meglio" rispose con un filo di voce Selenjak.
La Vulcaniana era visibilmente disorientata: un istante prima si
trovava nel mezzo di una situazione di emergenza, e ora era
finita.... dove ? Certo, era su una nave stellare, ma come ci era
finita? E chi era quell'uomo gentile che la stava invitando a sedere
nel proprio alloggio ?
"Si sente bene, dottoressa?" chiese Knight, accompagnandola sulla
sedia più vicina
"Si', io sto bene, ma... noi ci conosciamo ?" rispose con una certa
esitazione Selenjak
Knight sgranò gli occhi quella frazione di secondo necessaria per
sincerarsi di aver sentito bene, poi utilizzò il comunicatore:
"Dottor Turrell, qui é il Capitano Knight; il dottor Selenjak ha
bisogno di assistenza medica; si presenti immediatamente nel mio
alloggio, insieme al Consigliere Lamarc".
Zeela percepi' la grande preoccupazione del Capitano e rispose:
"Arrivo subito, Signore, ma se le condizioni di Selenjak sono gravi,
forse sarebbe meglio farla teletrasportare in infermeria, dove
potremmo....."
Knight la interruppe: "fisicamente il dottore non corre nessun
pericolo, almeno per ora, e credo non sia opportuno spostarla di qui,
per adesso. Comunque , faccia presto".
Il Capitano guardò nuovamente la dottoressa - sembrava un bambino che
avesse perso la mamma in mezzo alla folla, pensò - e si sedette
accanto a lei, prendendole la mano per rassicurarla.
Il gesto di Knight sembrò sorprendere Selenjak, che ebbe un piccolo
sussulto, tuttavia la Vulcaniana non ritrasse la mano: evidentemente
aveva bisogno di conforto!
"Davvero non ricorda di avermi conosciuto? Provi a sforzarsi: sa dove
ci troviamo?" chiese con il tono più rassicurante possibile Knight
"Io... suppongo che ci troviamo nel suo alloggio; siamo certamente su
una nave stellare, ma.. non saprei dire altro, né di lei, né di
questo posto......"
Selenjak tacque per pochi istanti e prosegui', con espressione triste:
"né ... di me stessa"
E chino' la testa, per rinchiudersi in un desolato mutismo.
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