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PAURA di Marco Dalmonte
28 novembre 2002

    Data Stellare 58007.2 (03/01/2381, ore 15.20)

    U.S.S. Providence
    Ponte 13

    -Che cosa sta succedendo, mamma?-
    La piccola Rishia guardava implorante il volto della madre, coi grandi occhi colmi di paura e di apprensione, mentre tentava con una mano di stringersi più forte a lei e con l'altra di non perdere il suo peluche preferito, una bianca tigre andoriana che doveva aver visto giorni migliori. La giovane madre l'abbracciò con più ardore e le pose un bacio sulla fronte, accarezzandole i capelli e cercando di tranquillizzarla.
    -Dev'essere senz'altro un forte vento che viene da quella grande stella là fuori...- rispose accennando col capo all'oblò, da cui proveniva un'intensa luce argentea.
    -E' come quella volta su Virisa, quando eravamo bloccati in casa dalla tempesta e papà non arrivava mai, ti ricordi Rishia?- la bimba annuì, persa ora nello sguardo della madre -Tu avevi tanta paura che lui si perdesse e che il tetto crollasse, vero? Ma alla fine è passato tutto e abbiamo visto un bellissimo arcobaleno insieme a papà.- La bimba sorrise, annuendo al racconto della mamma, e parve rassicurata.
    -Vedrai che anche oggi non succederà niente. E alla fine vedremo un bellissimo arcobaleno là fuori...- ma benchè volesse credervi fermamente, anche Ardea Leyson aveva paura.

    Quello che era successo fino a poche ore prima non era normale, non era dovuto semplicemente a interferenze causate dalla formazione della stella che stavano studiando. Nessuno aveva mai registrato squilibri simili nel sistema e nelle apparecchiature di una nave in una tale circostanza, e la mancanza di risposte aveva reso l'equipaggio nervoso e insicuro. E i bambini, che prima si divertivano a parlare col computer di bordo che dava risposte assurde, quasi bambinesche, e proponeva loro giochetti infantili, ora erano davvero spaventati, vedendo i loro genitori sempre più in apprensione mentre i computer tutt'intorno impazzivano.

    Ardea si era chiusa nel loro alloggio quando le comunicazioni interne erano impazzite e dai replicatori ubicati nel laboratorio botanico era cominciato ad uscire olio bollente, gelpack e polvere di noce moscata. Aveva raggiunto la piccola Rishia nella nursery e l'aveva portata via, sigillando le porte della loro stanza e avendo cura di distruggere anche il loro replicatore privato. Ora erano tagliate fuori dal resto della nave, anche se a volte avvertiva deboli ronzii e suoni incomprensibili provenire dal corridoio. Persino il suo dispositivo di comunicazione giaceva interte in fondo alla vasca dei pesci, dopo che una strana voce aveva cominciato a chiamare Rishia e a chiederle di giocare ancora. Ora Ardea aspettava, ma come in un film dell'orrore, immaginava che da un momento all'altro un mostro sarebbe piombato là dentro e avrebbe cercato di inghiottirle. Se solo Richard fosse stato con loro...

    Ardea strinse a sè la piccola con un gesto improvviso, cercando di soffocare le lacrime tra i capelli della figlia, e provocando le proteste della bimba, colta di sopresa.
    - Mamma, così non respiro, dai!-
    - Perdonami, Rishia.- si scusò la madre, lasciandola e sorridendole teneramente con occhi luccicanti.
    La bambina, pensando di averla ferita, si arrampicò al collo della donna e le schioccò un bacio sonoro sulla guancia.
    - Oh, ma non mi hai fatto male. Ti perdono mamma!-
    Ardea la guardò ammirata e sentì il cuore accelerare e il volto distendersi in una maschera di beata ammirazione. Non avrebbe mai permesso che accadesse qualcosa alla sua piccola stella.

    Rishia cominciò a sbadigliare vistosamente: evidentemente anche lei era provata da quella situazione, e forse un po' di riposo avrebbe fatto bene a entrambe. Stranamente, anche Ardea tutt'a un tratto sentì le membra farsi più pesanti e capì che sarebbe stato meglio sdraiarsi e attendere così il ritorno di Richard.

    La mamma prese in braccio la piccola e la portò nella stanza da letto, sdraiandosi accanto a lei. E così, vinte dalla stanchezza e dalla tensione, entrambe si abbandonarono lentamente all'improvviso e inatteso oblio del sonno.

    Non rividero mai la stella che le attendeva fuori, e non risposero alla voce ronzante del computer di bordo che continuava a chiamare la piccola Rishia, invitandola a prendere un te' nel Bar di Prora. Ebbero una dolce morte, a causa dell'imprevista variazione chimica dell'atmosfera su tutto il ponte 13. Non furono le prime a morire, nè le ultime vittime degli assurdi avvenimenti che funestarono la missione della Providence, ma furono le uniche a morire serenamente.

    Quasi a fare da contraltare alla nascita di un nuovo astro, la Providence si stava lentamente trasformando in un immenso cimitero.



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