AMMASSO DI FELSEMIS
U.S.S. Providence
Sotto l'illuminazione alterata dei compartimenti in
allarme ancora accessibili,
le saltuarie indicazioni sull'evacuazione esalate dal
computer di bordo
suonavano distanti e fuori luogo come il latrato di una
megattera alla
sua ultima lega di mare aperto.
Il suo sangue di viaggiatore, nomade da generazioni,
ribolliva di entusiasmo
ogni volta che si trovava di fronte a situazioni estreme
come questa.
Ma forse gli occhi di Dehann, due innaturali sfere color
ozono, si erano
troppo spesso meravigliati di fronte alla fierezza con cui
la Providence
sfrecciava nei cieli; forse il valore di una nave
ingegnerizzata e realizzata
con l'apporto di migliaia di persone, strumenti
d'avanguardia e cantieri ciclopici,
non meritava l'amaro sapore sacrificale che assumevano
certi accrocchi riciclati,
orgoglio dell'arte di sapersi arrangiare, prerogativa
della dimenticata stirpe dei Rijian Ovijian...
Forse invece, semplicemente, questo cosiddetto "capo delle
operazioni" non era più il ricognitore
pronto a sacrificare il proprio mezzo per ottenere
l'obiettivo del suo viaggio,
soprattutto da quando sulle sue spalle avevano cominciato
a pesare le vite di
centinaia di persone.
- Infermeria a ponte 12. Rispondete! E' il Tenente
Comandante Dehann Razi che vi parla. -
Ma ovviamente, anche questo ennesimo messaggio non stava
ricevendo risposta.
- Ripeto: non tentate di raggiungere o contattare la
plancia! Raggiungete le scialuppe! -
Certo, nemmeno le scialuppe erano utilizzabili, ma dare un
punto di rendez-vous o anche
solo una speranza all'equipaggio ancora attivo poteva
facilitare le cose.
Tutti i reparti erano stati avvisati, dove ci fosse
movimento. Non che fosse un dato affidabile,
fornito da una nave in stato di gravissima avaria.
In ogni caso, non poteva sperare oltre, attendere ancora
che la Unicorn, là fuori, facesse un miracolo.
Il momento era arrivato.
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Gocciolando via dalla elegante figura della Unicorn, due
gusci di titanio, resistenti
alle durissime condizioni ambientali di questo angolo
sperduto della galassia,
fluttuavano verso la USS Providence, non senza
difficoltà:
- Tenente, c'è qualcosa che non va... -
- Lo vedo! - rispose Maddington, mentre sull'inquadratura
mostrata dallo schermo della navetta
un'insolita interferenza distorceva i colori.
- Tenente, guardi qui! -
Su un pannello secondario per il monitoraggio esterno, i
sensori mostravano una sorta di
placenta color indaco che avvolgeva la Providence, fino a
stirarsi come in un cordone ombelicale
che raggiungeva il vicino corpo celeste.
In avvicinamento, lembi di questa insolita forma
plasmatica lambivano i piccoli gusci di titanio.
- Tenente, il navigatore non risponde! La nostra rotta
viene modificata -
- RowKreg, che significa? -
- Significa che ora qualcun altro pilota questa navetta,
è... -
- Sì? -
- La Providence... -
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La nascita di una nuova stella era ancora un'incognita
sotto certi punti di vista.
Studi come quelli condotti in questo luogo erano piuttosto
rari e preziosi, soprattutto
per le paradossali condizioni fisiche, quantiche e
temporali che si manifestavano.
Mai nessuno, fra i casi riportati negli annali
scientifici, si era imbattuto in un caso come questo.
Quando stai sondando un campo eliostatico ed i sensori
rispondono con frasi sconnesse anzichè dati numerici...
Quando tenti di raggiungere la sala macchine e l'ascensore
risponde consigliandoti l'area ricreativa...
Quando l'autodoc conduce un'autopsia sul corpo vivo e in
salute di un membro dell'equipaggio e
comincia ad intasare il computer di navigazione con dati
che assomigliano più al codice Hammer che a mappe
stellari...
Ecco, è allora che capisci quanto preferivi le scorrerie
ai margini dei sistemi Klingon, o i primi anni
dell'accademia passati a schernire gli ufficiali e ad
importunare le bigotte compagne di corso...
Era successo semplicemente così. Da un momento all'altro,
il computer di bordo si dimostrava senziente,
autocosciente,
ma senza alcuna memoria storica. Si affacciava alle
proprie banche dati con un infantile interesse verso il
nuovo
ed un'insuperabile attitudine al caos.
Fino a quando le analisi di emergenza, condotte con i
mezzi non servoassistiti, in condizioni estreme,
chiarirono che l'autocoscienza non era da attribuire al
computer di bordo.
Questo infatti era strutturalmente deprivato delle
meccaniche evolutive e non si sarebbe mai sognato di
schermare le comunicazioni di propria iniziativa.
Piuttosto, sembrava chiaro che qualcosa di esterno stesse
utilizzando il computer di bordo della nave
come un'interfaccia per analizzare, studiare, sezionare le
forme di vita e di conoscenza che la abitavano.
Cosa importava se testare tutte le possibilità in esse
incluse significava distruggerle?
Inoltre, un'altra sicurezza era emersa.
Si crede che la formazione di una stella sia un processo
caratterizzato da tempi lunghissimi.
Invece, la NASCITA di un astro risulta una reazione molto
complessa, un frattale incredibilmente
minuzioso ed in rapidissima evoluzione, senza tregua.
E senza tregua, freneticamente, qualcosa aveva concentrato
il suo interesse sulla nave, l'aveva analizzata,
aveva studiato la miriade di segnali che emetteva ed aveva
trovato il modo di farne parte; forse per proteggerla,
aveva anche eretto un muro, un'interferenza in grado di
falsare tutte le informazioni che potessero essere
sondate dall'esterno.
Ogni fotone conserva uno stato. E' come una lampadina, che
può essere accesa o spenta, gialla o blu, grande o piccola
e, con il suo stato, rappresentare un'informazione. In
qualche modo, l'immenso bagliore che avevamo di fronte era
in grado non solo di memorizzare, evolversi e comunicare,
ma anche di provare ...
... un infantile interesse verso il nuovo ...
... come un neonato che spalanca occhi, bocca e mani per
apprendere a pieno tutto quello che gli sta intorno ...
Ora, Dehann aveva solo la speranza di salvarsi comunicando
con il canale utilizzato attualmente da questa coscienza:
occorreva raggiungere la plancia e parlare con il Capitano
Dionigi. Ma chi avrebbe risposto?
- Capitano Dionigi, è ancora lì dentro? Mi risponda! -
Da un condotto di areazione, dove si era rifugiato da un
droide delle pulizie riadattato a terminator,
Dehann stava ora parlando ad uno speaker che dava su un
controllo navigazione della plancia.
Riadattarlo a microfono non era stato facile, ma era
servito a non fargli pensare a come se la stesse cavando
il resto dell'equipaggio.
- Cosa... non ricordo nulla, chi parla? Dove sono? -
- Capitano Dionigi! Qui è Dehann Razi, ricorda? Ha perso
il controllo della situazione, poco fa. -
Per un attimo nessuna risposta. Aveva lasciato il capitano
da ore ormai. Pitchfork l'aveva tramortito,
cercando di non ucciderlo, mentre tutti lo lasciavano lì a
vaneggiare sulla "vivisezione dell'equipaggio
come metodo per contattare le forme spirituali più
evolute" in mezzo ad una plancia devastata.
- Come siamo piccoli. La nostra vita è così breve... -
La voce continuava a parlare, ma molto lentamente. Dava
l'impressione di provenire da altrove.
- Capitano? Mi sente? -
- Ssiete vvenuti qui ad assistere alla mia breve
esistenza, fforse mmolti altri verranno,
ma presto lo spettacolo finirà. Vvedo gli aaltri come
me... mmorti? Ii vvostri strumenti mi parlano di nnoi, mma
a vvoi non interessa questa morte, vvoi lla chiamate
"formazione di un astro", vveroooooooooooo?-
Il capitano sembrava aver terminato i suoi vaneggiamenti.
Forse attendeva una risposta, forse si riusciva a
comunicare tramite quel piccolo speaker.
Forse si poteva intavolare una discussione, ma con quali
effetti sul futuro della nave?
Forse là fuori qualcuno stava arrivando e temporeggiare
sarebbe significato salvarsi; magari nei suoi
vaneggiamenti
questa presenza aveva smesso di dissimulare tutte le
avarie e là fuori potevano accorgersi di qualcosa.
O forse mettersi a parlare con una stella significava aver
finito le idee e mettersi a sperare in un miracolo...
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Intanto, là fuori…
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