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ATTO SESTO di Roberto Messora
27 settembre 2002

    Per qualche attimo ci fu solo silenzio, sembrava che si fossero acquietate anche le consolle, un misto di stupore ed imbarazzo, ma forse anche l'assurdità del momento: di fronte ai tre ragazzi, accompaganto dal noto sorrisetto canaglia, se ne stava John De Lancie, o era in realtà Q per davvero?
    -Ora mon capitaine le cose sono due, nevvero? O state dando fuori di matto, come dite voi italiani, oppure... oppure ditemelo voi, voi piccoli esseri inferiori che vi credete tanto bravi ed evoluti, un po' come un altro mio conoscente dalla crapa pelata.-
    Corto circuito, nessuno riusciva a capire, Q, o chiunque quell'essere fosse (e dovunque si trovassero...), parlava di persone reali (?) e personaggi di telefilm con la stessa noncuranza con cui osservava gli smarriti dirimpettai; il gioco, il sogno, il delirio che li aveva colti (o forse aveva colto solo uno di loro, ma chi?) stava diventando incomprensibile. Fino a qualche secondo prima, poteva essere un'assurdità concepibile, se tali parole potevano mai essere accoppiate, una sorta di confine della realtà in cui però tutto era al suo posto, cioè un viaggio onirico nel mondo dell'immaginario di una fiction cinematografica. Un gioco che si poteva anche giocare, un brivido notturno che squarciava la realtà goirnaliera come una boccata di aria nuova. Ma quelle labbra che disegnavano un ghigno beffardo sul volto noto di un attore (o in realtà anche quello è sempre stato Q per davvero?), facevano crollare ogni certezza.
    Messora si interrogò spaventato, si rese conto come in qualsiasi situazione la psiche umana cerchi automaticamente di scovare un qualsiasi brandello di logicità anche nella disperata condizione, dal punto di vita razionale, di un sogno o un incubo. E quasi sempre ci riesce, ma non era quello il momento, non con quella presenza. Per assurdo (di nuovo!) la figura coricata su una delle consolle di comando dell'hangar navette principale, come se stesse su un triclinio, appariva essere l'entità più reale e logica di tutto ciò che componeva anche l'essenza stessa di quell'universo parallelo. Più reale della Unicorn (ma era davvero la Unicorn?), più reale del cosmo là fuori (o forse era "dentro"...), più reale di loro stessi. Era cosciente, non poteva essere diversamente, non conosceva nessun altro stato mentale simile a quello che stava vivendo che potesse essere un'altra cosa rispetto all'essere coscienti di se stessi, senziente ed attento. Eppure la comparsa di Q aveva portato la percezione che aveva di quel viaggio su un piano di consapevolezza diverso, più alto in qualche modo, come se fosse quella presenza a rendere davvero possibile e coerente tutto.
    Una presenza ingombrante però, che sminuiva in qualche modo tutto il resto, come se senza di essa i colori diventassero sbiaditi, i suoni attutiti, la parole e i pensieri vaghi.
    Vacui.
    Il senso di torpore che si stava insinuando nella mente dei ragazzi, l'effetto ipnotico dello sguardo di Q, vennero interrotti dall'improvviso ridacchiare che si udì provenire da oltre la porta, un suono cristallino, come acqua pura e fredda, venuto da chissà dove senza alcun prevviso. Le porte si aprirono con il classico sibilo, due figure femminili in divisa blu irruppero con tutta la loro allegria e freschezza nella stanza di controllo, ridevano di gusto come due amiche che avessero in comune una storia particolarmente divertente.
    -Ciao! Vi abbiamo trovato finalmente!-
    I sorrisi aperti delle due ragazze conquistarono i loro amici immediatamente che non poterono fare altro che sorridere a loro volta.
    -Ma guarda c'è anche Q! Dal vivo sembra più grasso...-



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