Per qualche attimo ci fu solo silenzio, sembrava che si fossero acquietate
anche le consolle, un misto di stupore ed imbarazzo, ma forse anche
l'assurdità del momento: di fronte ai tre ragazzi, accompaganto dal noto
sorrisetto canaglia, se ne stava John De Lancie, o era in realtà Q per
davvero?
-Ora mon capitaine le cose sono due, nevvero? O state dando fuori di matto,
come dite voi italiani, oppure... oppure ditemelo voi, voi piccoli esseri
inferiori che vi credete tanto bravi ed evoluti, un po' come un altro mio
conoscente dalla crapa pelata.-
Corto circuito, nessuno riusciva a capire, Q, o chiunque quell'essere fosse
(e dovunque si trovassero...), parlava di persone reali (?) e personaggi di
telefilm con la stessa noncuranza con cui osservava gli smarriti
dirimpettai; il gioco, il sogno, il delirio che li aveva colti (o forse
aveva colto solo uno di loro, ma chi?) stava diventando incomprensibile.
Fino a qualche secondo prima, poteva essere un'assurdità concepibile, se
tali parole potevano mai essere accoppiate, una sorta di confine della
realtà in cui però tutto era al suo posto, cioè un viaggio onirico nel mondo
dell'immaginario di una fiction cinematografica. Un gioco che si poteva
anche giocare, un brivido notturno che squarciava la realtà goirnaliera come
una boccata di aria nuova. Ma quelle labbra che disegnavano un ghigno
beffardo sul volto noto di un attore (o in realtà anche quello è sempre
stato Q per davvero?), facevano crollare ogni certezza.
Messora si interrogò spaventato, si rese conto come in qualsiasi situazione
la psiche umana cerchi automaticamente di scovare un qualsiasi brandello di
logicità anche nella disperata condizione, dal punto di vita razionale, di
un sogno o un incubo. E quasi sempre ci riesce, ma non era quello il
momento, non con quella presenza. Per assurdo (di nuovo!) la figura coricata
su una delle consolle di comando dell'hangar navette principale, come se
stesse su un triclinio, appariva essere l'entità più reale e logica di tutto
ciò che componeva anche l'essenza stessa di quell'universo parallelo. Più
reale della Unicorn (ma era davvero la Unicorn?), più reale del cosmo là
fuori (o forse era "dentro"...), più reale di loro stessi. Era cosciente,
non poteva essere diversamente, non conosceva nessun altro stato mentale
simile a quello che stava vivendo che potesse essere un'altra cosa rispetto
all'essere coscienti di se stessi, senziente ed attento. Eppure la comparsa
di Q aveva portato la percezione che aveva di quel viaggio su un piano di
consapevolezza diverso, più alto in qualche modo, come se fosse quella
presenza a rendere davvero possibile e coerente tutto.
Una presenza ingombrante però, che sminuiva in qualche modo tutto il resto,
come se senza di essa i colori diventassero sbiaditi, i suoni attutiti, la
parole e i pensieri vaghi.
Vacui.
Il senso di torpore che si stava insinuando nella mente dei ragazzi,
l'effetto ipnotico dello sguardo di Q, vennero interrotti dall'improvviso
ridacchiare che si udì provenire da oltre la porta, un suono cristallino,
come acqua pura e fredda, venuto da chissà dove senza alcun prevviso.
Le porte si aprirono con il classico sibilo, due figure femminili in divisa
blu irruppero con tutta la loro allegria e freschezza nella stanza di
controllo, ridevano di gusto come due amiche che avessero in comune una
storia particolarmente divertente.
-Ciao! Vi abbiamo trovato finalmente!-
I sorrisi aperti delle due ragazze conquistarono i loro amici immediatamente
che non poterono fare altro che sorridere a loro volta.
-Ma guarda c'è anche Q! Dal vivo sembra più grasso...-
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