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SOGNI E RISVEGLI di Aristide Gorizia
20 aprile 2000

    U.S.S UNICORN
    Alloggio del Tenente Newport, non casa

    Era andato via da casa molto tempo prima. Fuggito, scappato se vogliamo e quando ancora era troppo giovane per capire perché. I larghi confini della federazione, avevano paradossalmente ristretto le possibilità di fuga per il giovane Newport e i posti dove difficilmente sarebbe stato raggiunto, erano anche per questo molto pericolosi.
    Sapeva che non sarebbe stato facile sopravvivere nel mondo esterno ma era sempre meglio che vivere nell'atmosfera che si era creata nella casa di suo padre. Perché era così che la considerava; non casa sua ma di suo padre. Non era mai riuscito a colmare il divario che si era creato con il suo genitore e d'altra parte, neanche suo padre aveva mai fatto troppi sforzi per capirlo, per avvicinarsi a lui o anche ascoltarlo.
    Le uniche soluzioni erano o una vita di conflitti o cercare di crearsi una vita sua e indipendente. Ma non sulla Terra, altrove dove il ricordo di casa potesse affievolirsi e farsi meno doloroso.
    Ritrovarsi nello spazio era solo il primo passo per fuggire più lontano. E fortunatamente aveva delle qualità che gli permettevano di sopravvivere.
    >Newport sollevo' la palpebra destra di mezzo centimetro e osservo' la propria
    >cabina, immersa nel silenzio e nell'oscurita'.
    >Era a letto da poco piu' di due ore
    >ma, nonostante lo stato pietoso in cui fosse ridotto, qualcosa gli
    >impediva di
    >dormire ulteriormente. Forse l'abitudine ai turni di servizio, o forse era il
    >letto che ondeggiava troppo violentemente.
    >L'hypospray giusta, e tutto sarebbe passato. Ma l'infermeria, in queste
    >condizioni, era assolutamente da evitare. "Ooooooh ... ... ... che mal di
    >>testa!"

    E ricadde svenuto sul cuscino
    Sognava di correre nella vegetazione, lontano da un piccolo boschetto. Un sogno ricorrente, solo l'ambientazione era cambiata. L'erba alta gli arrivava a metà coscia ed era abbastanza folta da nascondere dei piccoli animaletti pelosi che sicuramente lo circondavano. Piccoli con occhietti ammiccanti che luccicano e che lo riempivano di inquietitudine... Il respiro era affannato, il sudore gli gocciolava sulla fronte, sapeva di non essere solo e sentiva tra l'erba il rumore di piccoli passi che si avvicinavano.
    Decise comunque di fermarsi, era stanco e dove poteva andare comunque? Non c'era niente dietro cui nascondersi. Nessuna roccia sporgente, nessun anfratto abbastanza riparato e il primo albero era lontano nella direzione sbagliata. Anche fosse stato abbastanza vicino, non era il tipo su cui avrebbe potuto arrampicarsi facilmente. Continuava a guardare in tutte le direzioni alla cerca di una soluzione. Sentiva il pericolo farsi sempre più vicino.
    Il sole lo abbagliava, gli bruciava la pelle, la pelle...improvvisamente si accorse di essere nudo, era sconvolto ma anche stupito. Nudo in piena savana. Perché? Come?
    -Perché continui a scappare.-
    Si voltò sorpreso di sentire una voce nota e trovò, lì a pochi passi di distanta, l'ammiraglio Sen. Sembrava che galleggiasse sull'erba.
    -Il come; ormai non hai nulla da nascondere.-
    -Scappo per sopravvivere. Non ho altra soluzione.-
    Sen scosse la testa poco convinto.
    -Scappare non é mai una soluzione.-
    -Non lo é mai stato.-
    Un altra voce lo sorprese alle spalle. Il capo Newport, suo zio, era apparso nello stesso inesplicabile modo.
    -E poi, se nonsai da cosa stai fuggendo, non saprai mai se in realtà non ti ci stai avvicinando.-
    -Non sono in grado di replicare. Sto sbagliando, vero?-
    -Questo dovrà deciderlo da solo tenente.- Anche Selenjak era apparsa.
    -Lei é il solo che può decidere cosa é giusto o sbagliato.-
    -Perché allora dovrei fidarmi di lei dottore? Che motivo avrei? Forse é solo un semplice incubo...non dovrei fidarmi.-
    Abbassò la testa sentendosi sconfitto. poi si accorse di un altra presenza.
    -Hai sempre una spiegazione per tutto vero? Non sei cambiato molto. Sempre covinto delle tue convinzioni-
    T'Aria era lì. Attraente come la ricordava. Indossava il vestito con cui gli aveva detto addio: l'abito matrimoniale.
    -Non é vero. Sono cambiato ed anche molto. Non sono la stessa persona che tu conoscevi. -
    -Ma ti conoscevo davvero?-
    -Questo dovrei dirlo io...non pensavo che nella mia vita ti avrei rivisto...-
    Poi la vista si offuscò, cominciò ad avere realmente paura, tutto cominciò a correre velocemente in un solo punto di convergenza, causando un sibilo che diventava sempre più acuto fino ad assordarlo. Era l'effetto della curvatura applicato alla sua visione e divenne tutto buio e silenzioso....

    Il gusto amaro e pungente che aveva in bocca lo avvertì che era di nuovo sveglio.
    Sentiva solo il rumore del suo respiro affannato, tentò di capire dove fosse, il lontano rimbombo delle attività di bordo, il rumore bianco di ogni nave attiva, gli confermò il sospetto di essere nel suo letto. Era ora di alzarsi dannazione!
    Fortunatamente non aveva mal di testa. I mesi passati in fusione con la sua colonia di naniti avevano anche questo vantaggio; difficilmente le cefalee superavano il limite di guardia. La bocca impastata, le palpebre incollate ed una certa rigidezza dei muscoli erano i soli segni di quello che aveva passato. Sperò di non aver fatto sciocchezze, in effetti non ricordava nulla di quello che era successo dopo che aveva rincontrato Madison. Chissà come diavolo era riuscito a tornare a bordo. Sempre che quella fosse la nave giusta...
    Alzò il braccio destro provare la funzionalità dei muscoli e per girarsi sulla schiena ma non si era reso conto di stare sul bordo estremo del letto. Il movimento lo squilibrò e scivolò rovinosamente dal letto trascinandosi il lenzuolo. Ouch! Ecco, la botta alla testa lo aveva svegliato, almeno il cervello, ora toccava svegliare il resto del corpo. Carponi, raggiunse o tentò di raggiungere il replicatore. Sperò di avercela fatta e quasi gli venne da ridere all'idea di qualcuno che potesse entrare in quel momento e potesse vederlo in quella posizione. Ecco l'intrepido ingegnere della Unicorn strisciare verso una macchina per elemosinare un caffé. Fortunatamente il senso dell'orientamento era sveglio e riuscì a portarlo nel posto giusto.
    Si arrampicò alla mensola per rimettersi in piedi e quando la sua bocca arrivò all'altezza del microfono, sbiascicò qualcosa.
    -Squiiirt.!-
    Non era la risposta che si aspettava . Probabilmente il computer non aveva riconosciuto le parole, probabilmente non le avrebbe riconosciute neanche lui, fosse stato un pò più sveglio. Si schiarì la gola e tentando di essere più chiaro, ripeté la richiesta.
    -Caffé! Nero, amaro e bollente! prego.-
    -Questo terminale di replicazione é stato disattivato dalla sua funzione. Prego rivolgesi ad un altro terminale disponibile. Squiiirt!-
    Richiuse di nuovo gli occhi. Non era per niente la risposta che voleva. Aveva dimenticato di aver disattivato la gran parte dei sistemi della sua cabina. Avrebbe dovuto raggiungere la cabina successiva per avere un caffé in fretta. Non ce l'avrebbe mai fatta. Sospirò; una doccia lo avrebbe svegliato abbastanza da apparire di nuovo umano.

    Mentre si spogliava qualcuno ebbe il buon gusto di bussare alla porta. Ed anche con una certa insistenza.
    Il terzo squillo lo sorprese con una gamba del pantalone ancora infilata e mentre provava a raggiungere la porta, inciampò nel tessuto e cadde rovinosamente a terra. Per la seconda volta.
    Si strappò la giacca e lanciò la divisa con cui aveva dormito più lontano possibile. Ora cominciava ad essere arrabbiato.
    Aprì la porta indossando la maglia, un paio di boxer, i calzini e la furia di un uomo a cui avevano negato il primo caffé della giornata.
    Si trovò davanti una ragazza la cui freschezza trovò irrimediabilmente insopportabile. Era carica di bagagli ed era chiaro che aveva perso la strada. Che diavolo ci faceva nello scafo secondario? A che ricordasse, non faceva parte della sua sezione. D'altra parte portava i colori della sezione scentifica...
    Poi notò che lo fissava con stupore, quasi ebetismo e storceva il naso.
    > -ALLORA, cosa diavolo ha da guardare?!
    Lei storse ancora di più il naso...
    > -Mi scusi se la disturbo, ehm...signore...ha mica visto...
    Newport cominciò a perdersi nel desiderio di caffé...
    -No, lasci perdere. Credo di essemi persa, sà, é la pima volta che salgo a bordo.-
    Complimenti, pensò l'ingegnere capo. E vieni a bussare proprio alla mia porta...?
    > Lui l'ascoltò più o meno in trance con lo sguardo vacuo, stralunato e
    > vagamente metallico.
    Se non si infilava presto sotto la doccia, sarebbe svenuto dal desiderio di caffeina e quella lì non si decideva a parlare.
    -Lasci perdere. Mi scusi per il disturbo.-
    Non pareva però a decisa ad andarsene. Newport stava per chiuderle la porta in faccia ma sembrava che avesse ancora qualcosa da dire.
    > - Se mi permette, signore, potrei fare qualcosa per lei...cioé, per il suo
    > stato...Ecco, questo dovrebbe farle bene-, e trasse dalla valigia una
    > fialetta, gliela mise in mano e fissandolo con gli occhi sgranati riprese:
    > -sa, sono un medico.-
    > Lui biascicò qualcosa di incomprensibile e la porta si richiuse.

    Al diavolo le seccatrici. Lanciò sul letto quell'affare che la ragazza gli aveva infilato in mano e si diresse verso il bagno.

    Rimase sotto l'acqua calda per tutto il tempo necessario per risvegliare completamente il corpo. Alternò l'acqua calda con quella fredda per costringere i muscoli a reagire, finì poi per indulgiare sotto quella bollente appoggiato alla parete, sospirando dal piacere.
    Ne uscì solo quando in tutto il locale si era formato uno spesso strato di nebbia che tentava di raggiungere la camera da letto.
    L'ampio specchio gli rimandò l'immagine di un uomo messo a nuovo, anche se con grosse occhiaie che sperava sparissero presto. Mentre si radeva giurò a se stesso che non avrebbe mai più preso parte ad una celebrazione con Madison.
    Il fisico non reggeva più a quel genere di eccessi. Probabilmente, neanche da studente avrebbe retto gli eccessi che lo costringeva quell'amicizia. Ma forse c'era qualcosa di più che lo aveva convito a bere forte. Si, sapeva cos'era.
    Nonostante credesse realmente a quello che aveva detto a T'Aria e i suoi compagni, si sentiva in colpa per non averli aiutati.
    Doveva molto al ramo vulcaniano della sua famiglia. Non che provasse per loro particolare affetto ma in un momento difficile per i suoi rapporti col padre, lo avevano aiutato a non perdere la testa e a fare le scelte giuste. E poi, quindici anni prima pensava di essere realmente innamorato di T'Aria. Anche se il dispiacere del suo matrimonio fù forte, sentiva di doverle ancora qualcosa.
    Quando rientrò nella camera da letto si rese conto di una realtà abbastanza spiacevole.
    La ragazza non aveva torto ad essere disgustata. La sua cabina era diventata uno spavento e nell'aria c'era un forte odore di...andato a male. Probabilmente era lo stesso che che emanava prima di lavarsi. Diamine, fino a che punto l'aveva portato la paranoia? Era il caso di smettere fin che era in tempo. Era pericoloso continuare a vivere in quel modo. Sempre che si potesse chiamarlo vivere.
    Raggiunse una centralina nascosta dietro la scrivania del piccolo soggiorno e riattivò alcuni contatti che aveva sconnesso qualche tempo prima. I primi a funzionare furono le ventole di ricambio. L'aria divenne immediatamente più fresca e quasi gli parve di cogliere un leggero profumo floreale.
    Poi si accorse di qualcosa che lo fece ancora più felice; il replicatore diede segni di vita e segnalò di essere di nuovo in linea. Al diavolo pensò, bisogna vivere, non soltanto sopravvivere.

    Diversi minuti più tardi si dirigeva verso la sala macchine completamente vestito di nuovo, profumato e sorridente, con una tazza di caffé fumante, la terza, tra le dita della mano destra.

    Le prime due, accompagnate da una buona colazione, le aveva consumate mentre ripuliva la sua cabina di tutto il macello che aveva permesso che si formasse. Aveva raccolto tutta la biancheria, lenzuola e vestiti sporchi e aveva spedito il tutto per espresso al riciclaggio, ordinandone di nuovi e di profumati.
    Poi aveva ricomposto dignitosamente il giaciglio e messo in ordine la piccola scrivania. Aveva rimontato i pannelli che aveva smontato per cercare di capire se veniva controllato ed alla fine aveva anche riattivato i sensori ambientali. Non glie ne fregava niente se lo qualcuno lo avesse controllato. Aveva un idea, un programma per il suo futuro e non valeva la pena di vivere in un eremo nell'attesa di metterlo in atto. Raggiunse quindi la sezione sorridente e pronto a mettersi al lavoro. Nella sala del nucleo trovò esattamente tutto quello che aveva lasciato e trovò anche le persone che voleva incotrare; Shark, Morgan e Tripitaka. Tre dei suoi capiturni.
    -Allora ragazzi, Come và la vita? -
    -Bentornato signore.- Rispose Morgan. -Vedo che la franchigia ha fatto miracoli...-
    -AH! Morgan,dovrebbe sapere di come un pò di tempo libero possa giovare all'umore di uomo.-
    -...e di spirito...- disse la ragazza sottovoce
    -Come?- -E allo spirito signore. Anche lo spirito può venirne rinfrancato.-
    -Giusto. Più che giusto! Vedo con piacere che durante la mia assensa siete riusciti a mantenere intatto il motore. Novità?-
    Tripitaka gli porse due datapad.
    -Nessuno signore. Abbiamo finito il turno di manutenzione ed io e Morgan stavamo smontando. Questi sono i risultati e il programma del giorno.-
    Newport diede un occhiata agli schermi notando tutte le luci verdi.
    -Bene. Altro?-
    -No. Shark é appena arrivato e noi stavamo andando via. -
    Il tenente Shark intervenne quasi supplicando.
    -Andiamo Tri, pensavo che mi avresti dato una mano.-
    -Mi dispiace Paul. Ma la partita l'hai persa tu, non io.-
    -Partita? Quale partita?- Chiese Newport.
    -Una partita a poker che abbiamo fatto ieri sera ed ora il tenente Shark deve pagare la posta. Oggi ci sostituirà entrambi.- rispose la Morgan.
    -Bene allora. Penso che finquando la nave resta all'attracco, non dovrei aver bisogno anche di voi. Potete andare. -
    Dopo aver congedato i due ingegneri, abbrancò per le spalle il povero Shark e lo trascinò verso il nucleo.
    -Allora tenente; mi parli di questa famosa partita. Da quando i miei ingegneri giocano a pocker e non mi invitano?-
    Shark stava per rispondere quando l'occhio del capo ingegnere cadde sul secondo datpad. quello che vide lo lasciò stupito.
    -Ma che diav...-
    -Come signore? -
    -No, no. niente. Mi scusi Shark ma ora ho qualcosa di urgente da chiarire.-
    E detto questo, mollò su due piedi l'inebetito ingegnere.
    Newport si informò presso il computer dove potesse trovare il primo ufficiale e si avviò per raggiungerlo. Sul secondo datapad c'era qualcosa che non si aspettava e doveva parlarne con Dhek. Il più presto possibile.

    Tomeron Dhek se lo vide arrivare alla fine di una riunione con lo staff del servizio di sicurezza. La prolungata assnza di Krugar aveva causato un vuoto amministrativo che comunque andava colmato ed era meglio farlo quando la nave fosse ferma piuttosto che in missione. Il doppio incarico non pesava sul trill ma doveva ammettere che come sempre nel servizio di sicurezza c'erano fin troppe teste di legno. Probabilmente si trattava di una deformazione professionale e in quei tempi, la sicurezza era diventata una necessità vitale.
    Dhek notò che l'aspetto del capo ingegnere, per quanto provato, era decisamente migliore dall'ultima volta che l'aveva visto e come al solito non si attese nulla di buono. Il capo ingegnere era solito disertare le riunioni infermative a cui non veniva espressamente invitato accusando la scusa di avere troppo da fare in sala macchine. Ma in genere, si faceva vedere solo per annunciare qualcosa di spiacevole. Di per sé, non aveva mai trovato il terrestre disinformato o ignorante delle novità ma spesso aveva pensato che quel continuo farsi richiamare fosse solo uno stratagemma per farsi desiderare un pò di più.
    Newport lo salutò con un cenno della testa e gli mostrò il datapad che aveva portato con se.
    -Comandante, posso sapere che cosé questo?-
    Dhek stava per rispondere con una battuta ma pensò che in fondo, quel tipo non valeva tanta considerazione. Diede una rapida occhiata ai dati e quando li riconobbe, cominciò a dirigersi verso i ponti superiori.
    -Non é niente di particolare. È solo una richiesta di rinnovo del certificato di abilitazione al volo. Tutti i piloti devono farla ogni sei mesi, é il regolamento.-
    -Regolamento o no, perché dovrei farla anch'io? Io non faccio il pilota qui, mi occupo della sezione ingegneria.-
    Dhek cominciava a seccarsi.
    -Mi corregga se sbaglio; sul suo curriculum, c'é o no scritto che lei é abilitato alla guida di veicoli di classe 3?-
    -Di classe quattro veramente. È obbligatorio avere quella abilitazione per possedere un cargo privato come quello che avevo.-
    -Di classe 4 allora. Bene. Questo é solo un rinnovo dell'abilitazione, niente di grave. Si tratta di un esame semplice e di una visita medica. Che cosa c'é di difficile?-
    Newport non ebbe il coraggio di confessare, che per quanto sapesse pilotare una nave anche di classe 4, che per quanto avesse una buona esperienza come navigatore e avesse migliaia di ore di volo al suo attivo, in realtà non aveva mai conseguito il brevetto di volo.
    Quello che aveva, semplicemente lo aveva ereditato insieme al cargo con cui faceva affari. Simili dettagli burocratici sull'orlo della zona neutrale, sono piuttosto insignificanti.
    La sua vera specializzazione é sempre stata l'ingegneria e la meccanica in generale. Quando sul modulo che l'ammiraglio Sen gli aveva sottoposto per trovargli un luogo adatto, trovò la voce che gli chiedeva se sapesse o meno pilotare una nave, aveva semplicemente scritto di si, sapeva pilotare, ma non aveva mai pensato di specificare che in realtà non aveva il brevetto di volo.
    Dhek entrò in un turbo ascensore e si girò verso l'ingegnere che non aveva intenzione di seguirlo.
    -Francamente non vedo quale sia il problema tenente. Le prenderà poco tempo ed é una cosa che si fà sul ponte ologrammi.- Poi richiese la destinazione e le porte si chiusero.
    Newport sentì salire l'onda dei guai che si avvicinavano sempre di più. Non ricordava di aver mai letto un testo che riguardasse o meno il volo. La sua era stata un esperienza diretta, sul campo, non aveva assolutamente idea di come affrontare un esame del genere.
    -Con un passo alla volta.- si rispose. -Un passo alla volta e vedremo di far quadrare anche questo. Sperando di non dover barare...-
    Depresso richiamò la cabina del turboascensore per ritornare in sala macchine. I suoi pensieri successivi vertevano su come e quando avesse potuto rimediare al danno. Erano anni che non si metteva su dei libri di scuola.



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