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IL CENTRO - PARTE III di Llilya
11 aprile 2000

    Appena giunta sulla soglia dell'ambulatorio 24, Selenjak si rese conto che senza una brusca frenata, il suo slancio l'avrebbe fatta finire dritta contro un bancone stracolmo di provette ed attrezzi. Facendo ricorso allo scarso autocontrollo rimastole, puntò i piedi al pavimento con una pressione tale da rischiare di farla sbilanciare e cadere. Per evitare di presentarsi ai presenti con uno scivolone, si afferrò a quello che in un'abitazione sarebbe stato definito stipite, col risultato di assumere una posa "plastica", simile a quella dei pattinatori sul ghiaccio, sicuramente poco elegante, ma funzionale: era rimasta in equilibrio!

    Emise un sospiro (o meglio, uno sbuffo) e cercò di ricomporsi in una posa più consona al suo rango, prima di rivolgere la parola agli astanti.
    In una frazione di secondo, cercando di reprimere i sudori freddi che le scendevano per la schiena, provò a concentrarsi su qualcosa che non fosse la sua paura, ripassando mentalmente quale fosse il comportamento più logico da tenere.
    Decise di agire secondo un programma ben preciso, come faceva di solito: per prima cosa si sarebbe presentata con un tono distaccato e professionale, poi avrebbe trovato il modo di spiegare il suo ingresso precipitoso nel locale; successivamente, avrebbe chiesto di mettersi immediatamente al lavoro per predisporre la cura più appropriata per il Coandante Kraar, poi.....

    Invece, non riuscì a proferir parola: il tempo si dilatava a dismisura; ogni istante le sembrava lungo un secolo; come se non bastasse, davanti a sé vedeva lo staff del dottor Pitemeni che la fissava ad occhi spalancati, e questo la raggelò, facendola tornare in preda ad una enorme agitazione.
    Il colpo più grande, però, le venne inferto nell'incrociare lo sguardo di una dottoressa bruna, sottile, con i capelli lunghi, che si era voltata verso di lei nel momento della sua "irruzione" nell'ambulatorio.
    Selenjak ebbe un sussulto: vide di fronte a sé la propria immagine che la fissava e ne provò un terrore cieco ed inspiegabile. Sentì lo sguardo della ragazza attraversarla da parte a parte e provò la sgradevole sensazione di trovarsi al cospetto della propria coscienza, riflessa da uno specchio.

    Selenjak Aveva sentito parlare durante gli studi di psicologia dei cosiddetti "viaggi astrali", che poco avevano a che vedere con le stelle - cioé di quelle situazioni in cui le persone avevano la sensazione di fluttuare al di fuori del proprio corpo ed osservare "dall'esterno" sé stesse e l'ambiente circostante - ma aveva sempre pensato che quei racconti fossero frutto di suggestione.
    Si diceva anche che questa esperienza fosse più comune nelle persone in coma, o comunque vicine alla morte, e d'un tratto la Vulcaniana si trovò a chiedersi se non le fosse capitato qualcosa durante il teletrasporto, e non avesse vissuto gli ultimi minuti da spettro, piuttosto che da mortale.

    La logica escludeva questa eventualità: era alquanto improbabile che il teletrasporto fosse stato difettoso, così come era difficilmente verificabile l' eventualità che lo staff medico avesse potuto vedere il suo ectoplasma...il che, però, avrebbe giustificato gli occhi sbarrati dei presenti!
    Ma come poteva trovarsi contemporaneamente all'ingresso dell'ambulatorio e in mezzo ad esso?

    La Vulcaniana, sempre più spaventata, fissò le proprie mani, come per accertarsi della propria esistenza, poi tornò a fissare intensamente il suo duplicato: sì, era proprio Selenjak: stessi lineamenti, stessa corporatura, stessa pettinatura ......
    ma un particolare non faceva tornare i conti: gli occhi !

    L'altra Selenjak aveva gli occhi arancioni ! E che dire delle orecchie ? Già, le orecchie: avevano una forma completamente diversa!
    Come era potuta accadere una simile mutazione?
    Come ? Come ? Come ?

    La Vulcaniana era ormai in preda al panico: non riusciva a respirare; i presenti si guardavano fra loro con un'espressione stranita. D'un tratto, la Selenjak seduta al centro dell'ambulatorio si alzò per andarle incontro: aveva un'espressione preoccupata, ma alla Vulcaniana quello sguardo sembrò tagliente come un antico bisturi terrestre.

    Le sembrò che fosse arrivato il momento di essere giudicata per la sua vita presente e passata: paralizzata dal terrore, capì a malapena che i pensieri oscuri che si erano formati nei corridoi del centro continuavano a riproporsi sempre più velocemente, sempre più violentemente: i corridoi deserti, gli sguardi impietriti fissati su di lei, quegli occhi arancioni....
    Selenjak avrebbe voluto disperatamente fuggire, ma comprese con orrore di non riuscire a muoversi e che per di più, nel frattempo, la stanza aveva iniziato a girare, girare, girare.....

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    "Accidenti! che fate lì impalati?" gridò Zeela allo staff del dottor Pitemeni.
    "Cosa aspettate a darmi una mano? Non vedete che questa ragazza é svenuta ?"



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