Appena giunta sulla soglia dell'ambulatorio 24, Selenjak si rese
conto che senza una brusca frenata, il suo slancio l'avrebbe fatta
finire dritta contro un bancone stracolmo di provette ed attrezzi.
Facendo ricorso allo scarso autocontrollo rimastole, puntò i piedi al
pavimento con una pressione tale da rischiare di farla sbilanciare e
cadere. Per evitare di presentarsi ai presenti con uno scivolone, si
afferrò a quello che in un'abitazione sarebbe stato definito stipite,
col risultato di assumere una posa "plastica", simile a quella dei
pattinatori sul ghiaccio, sicuramente poco elegante, ma funzionale:
era rimasta in equilibrio!
Emise un sospiro (o meglio, uno sbuffo) e cercò di ricomporsi in una
posa più consona al suo rango, prima di rivolgere la parola agli
astanti.
In una frazione di secondo, cercando di reprimere i sudori freddi che
le scendevano per la schiena, provò a concentrarsi su qualcosa che
non fosse la sua paura, ripassando mentalmente quale fosse il
comportamento più logico da tenere.
Decise di agire secondo un programma ben preciso, come faceva di
solito: per prima cosa si sarebbe presentata con un tono distaccato e
professionale, poi avrebbe trovato il modo di spiegare il suo
ingresso precipitoso nel locale; successivamente, avrebbe chiesto di
mettersi immediatamente al lavoro per predisporre la cura più
appropriata per il Coandante Kraar, poi.....
Invece, non riuscì a proferir parola: il tempo si dilatava a
dismisura; ogni istante le sembrava lungo un secolo; come se non
bastasse, davanti a sé vedeva lo staff del dottor Pitemeni che la
fissava ad occhi spalancati, e questo la raggelò, facendola tornare
in preda ad una enorme agitazione.
Il colpo più grande, però, le venne inferto nell'incrociare lo
sguardo di una dottoressa bruna, sottile, con i capelli lunghi, che
si era voltata verso di lei nel momento della sua "irruzione"
nell'ambulatorio.
Selenjak ebbe un sussulto: vide di fronte a sé la propria immagine
che la fissava e ne provò un terrore cieco ed inspiegabile.
Sentì lo sguardo della ragazza attraversarla da parte a parte e provò
la sgradevole sensazione di trovarsi al cospetto della propria
coscienza, riflessa da uno specchio.
Selenjak Aveva sentito parlare durante gli studi di psicologia dei
cosiddetti "viaggi astrali", che poco avevano a che vedere con le
stelle - cioé di quelle situazioni in cui le persone avevano la
sensazione di fluttuare al di fuori del proprio corpo ed osservare
"dall'esterno" sé stesse e l'ambiente circostante - ma aveva sempre
pensato che quei racconti fossero frutto di suggestione.
Si diceva anche che questa esperienza fosse più comune nelle persone
in coma, o comunque vicine alla morte, e d'un tratto la Vulcaniana si
trovò a chiedersi se non le fosse capitato qualcosa durante il
teletrasporto, e non avesse vissuto gli ultimi minuti da spettro,
piuttosto che da mortale.
La logica escludeva questa eventualità: era alquanto improbabile che
il teletrasporto fosse stato difettoso, così come era difficilmente
verificabile
l' eventualità che lo staff medico avesse potuto vedere il suo
ectoplasma...il che, però, avrebbe giustificato gli occhi sbarrati
dei presenti!
Ma come poteva trovarsi contemporaneamente all'ingresso
dell'ambulatorio e in mezzo ad esso?
La Vulcaniana, sempre più spaventata, fissò le proprie mani, come per
accertarsi della propria esistenza, poi tornò a fissare intensamente
il suo duplicato: sì, era proprio Selenjak: stessi lineamenti,
stessa corporatura, stessa pettinatura ......
ma un particolare non faceva tornare i conti: gli occhi !
L'altra Selenjak aveva gli occhi arancioni !
E che dire delle orecchie ? Già, le orecchie: avevano una forma
completamente diversa!
Come era potuta accadere una simile mutazione?
Come ? Come ? Come ?
La Vulcaniana era ormai in preda al panico: non riusciva a respirare;
i presenti si guardavano fra loro con un'espressione stranita.
D'un tratto, la Selenjak seduta al centro dell'ambulatorio si alzò
per andarle incontro: aveva un'espressione preoccupata, ma alla
Vulcaniana quello sguardo sembrò tagliente come un antico bisturi
terrestre.
Le sembrò che fosse arrivato il momento di essere giudicata per la
sua vita presente e passata: paralizzata dal terrore, capì a malapena
che i pensieri oscuri che si erano formati nei corridoi del centro
continuavano a riproporsi sempre più velocemente, sempre più
violentemente: i corridoi deserti, gli sguardi impietriti fissati su
di lei, quegli occhi arancioni....
Selenjak avrebbe voluto disperatamente fuggire, ma comprese con
orrore di non riuscire a muoversi e che per di più, nel frattempo, la
stanza aveva iniziato a girare, girare, girare.....
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"Accidenti! che fate lì impalati?" gridò Zeela allo staff del dottor Pitemeni.
"Cosa aspettate a darmi una mano? Non vedete che questa ragazza é svenuta ?"
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