Il centro Medico Triven Soth era strutturato per far felice il
Vulcaniano più esigente: i corridoi erano essenziali, quasi spogli.
Il dedalo di stanze e laboratori, tutti in perfetto ordine, era stato
disposto secondo un ordine rigoroso, anche se tortuoso.
Non c'erano suoni, eccezion fatta per il flebile rumore dei condotti
di energia, ben dissimulati lungo le pareti.
La soffice, curatissima moquette dei pavimenti attutiva i passi del
personale, che comunque si spostava ordinatamente e pacatamente da un
ufficio all'altro. Non si coglievano rumori: pareva che le persone
comunicassero telepaticamente, tale era il silenzio che regnava per i
lunghi corridoi.
Selenjak alzò un sopracciglio. Possibile che tutto questo avvenisse
in un Centro della Federazione? A bordo della Unicorn aveva visto
l'equipaggio comportarsi in modo forse poco ortodosso agli occhi di
un Vulcaniano, ma senza dubbio più affine alle diverse nature delle
variegate razze presenti su una nave stellare.
Inoltrandosi nel centro, ebbe modo di veder un numero sempre più
esiguo di persone, finché si trovò a camminare per parecchi metri,
senza incontrare anima viva.
Camminò a lungo per il dedalo di corridoi deserti, guardando a destra
e a sinistra, come per sincerarsi che in qualche stanza ci fossero
degli esseri viventi.
"Dove sono tutti ?", si chiese la Vulcaniana, senza volerlo.
I suoi passi leggeri, a mano a mano che procedeva verso l'ambulatorio
medico 24, sembravano diventare sempre più pesanti, sempre più
rumorosi - o almeno così sembravano al suo orecchio, a mano a mano
che si concentrava sempre di più sulla percezione di quell'unico,
ripetitivo rumore.
Quasi meccanicamente, si guardò intorno, come in cerca di una
presenza, tuttavia il suo sguardo non incontrò ciò che stava
cercando: probabilmente erano tutti a cena, dato l'orario, e le
stanze sembravano ancor più deserte.
"Sono sola", penso' suo malgrado.
"Sola?"- si chiese, salvo poi riflettere sul'illogicità della
situazione, dato che si trovava su una base piena di medici,
infermieri, personale tecnico...
Eppure la sensazione di solitudine non si attutì, ma anzi, sembrò
ingigantirsi,come il rumore dei propri passi solitari: sì, era sola,
terribilmente sola in quei corridoi vuoti come il fluire dei suoi
pensieri.
D'un tratto, le tornarono alla mente, quasi con nostalgia, le risa
chiassose di alcuni giovani al primo imbarco, durante le pause al bar
di prora; ripensò ai modi scherzosi in uso sulla Unicorn, tra le
persone che avevano una certa confidenza tra loro.
Perfino il lungo fiume di parole che ogni giorno il buon Kokokinaka
le rovesciava addosso, nel tentativo (spesso fallimentare) di avviare
una conversazione, d'un tratto assunse una connotazione più
rassicurante.
Forse si era abituata fin troppo alla Unicorn, pensò, e questo
l'aveva portata ad usare la nave come unico termine di paragone.
Decise allora di tornare col pensiero alla sua nave di ricerca,
lasciata prima dell'incarico sulla Unicorn, e ancor più indietro fino
agli anni di studio.
Rivide i volti dei genitori, ancora non devastati dalla malattia, e
si sorprese a pensare quanto la loro perdita avesse lasciato un vuoto
nella sua vita.
Una vita fatta di studio, laboratori, Padd, supporti informatici,
applicazioni scientifiche, rigore.... e nient' altro. La presenza dei
genitori aveva fatto sì che questa vita sembrasse a Selenjak l'unica
possibile, ma ora, cosa avrebbe fatto?
Improvvisamente si rese conto di considerare con orrore l'eventualità
di un ritorno alla vita di pura ricerca: davvero voleva tornare a
studiare, analizzare, meditare... a condurre, insomma, una vita in
cui le altre persone non si affacciassero che come meteore ?
E qualora la risposta fosse stata "no", cosa avrebbe potuto fare? La
sua vita era come quei corridoi: deserta.
Non aveva amici, e le poche persone che avevano tentato di
avvicinarla erano probabilmente rimaste deluse, almeno quanto lei ne
era stata in qualche modo spaventata. Evidentemente non era capace di
instaurare rapporti amichevoli con le altre persone: non ci era
abitauta, e probabilmente le mancava anche quella dote innata che
hanno molti umanoidi, e che consente di relazionarsi anche con
persone conosciute da poco,senza troppi problemi.
Forse il suo destino era quello di restare sola; probabilmente
sarebbe stato più logico continuare la sua vita come aveva sempre
fatto fino a quel momento, occupandosi di cose a lei più familiari,
come il lavoro, la filosofia, la meditazione, tuttavia Selenjak sentì
di non volere continuare a vivere per sempre così, allo stesso modo
in cui sentiva di non voler restare più a lungo in quel corridoio.
Voleva uscirne. Subito.
Affrettò il passo, e con esso anche il suo battito cardiaco, come se
una presenza maligna ed invisibile la seguisse per i corridoi.
Fece appello alla sua autodisciplina per non farsi dominare da
un'emozione illogica quanto la paura, ma si rese conto di avere
sempre minori risorse per fronteggiare quel pensiero ossessivo che a
poco a poco, si faceva largo nella sua mente.
Provò una sensazione sconosciuta ed orribile: il respiro si fece più
affannoso (anche perché ormai stava quasi correndo) mentre avanzava,
senza il coraggio di voltarsi indietro, per il timore di scoprire che
le sue paure in qualche modo si fossero materializzate in una
minaccia incombente, proprio alle sue spalle.
Quando la situazione stava diventando insstenibile, il corridoio
improvvisamente svoltò a destra, rivelando la presenza non troppo
distante dell'ambulatorio 24.
Dall'interno sembravano provenire delle voci. Selenjak affrettò
ancora il passo, come se volesse "seminare" un ipotetico inseguitore
ed entrò di slancio nell'ambulatorio.
Lo sguardo sopreso dei presenti, alla vista di una vulcaniana che era
entrata come una centometrista al loro cospetto, la fece tornare
improvvisamente in sé.
E vergognare.
|