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UN NUOVO INIZIO - PARTE I di Paolo Maroncelli
4 febbraio 1999

    LONDRA
    7 dicembre 1919


    Il Big Ben annunciò le otto di sera con la solita maestosa solennità. Il Professor Edward Knight udì i rintocchi dell'antico e glorioso monumento forti, chiari e molto vicini a sé; levò lo sguardo verso l'alto e, mentre fissava le lancette dell'imponente quadro, portò inconsciamente la mano sotto il pesante cappotto fino al taschino del suo gessato blu, per estrarne un delizioso orologio da tasca.
    Dopo aver fatto scattare il coperchio lucido e dorato con un rapido movimento delle dita della mano destra, sollevò il delicato meccanismo e, senza distogliere lo sguardo dal monumento, gettò un'occhiata veloce alle piccole frecce argentate:
    - Otto in punto. - pensò soddisfatto tra sé e sé mentre, lasciando affiorare un sorriso, richiudeva delicatamente il coperchio dell'oggetto con entrambe le mani e lo riponeva nella tasca della giacca.
    La soddisfazione per la precisione del prezioso marcatempo, però, lasciò subito il posto alla frustrazione dell'attesa, e alla rabbia nei confronti di chi la provocava. Mai una volta Edward Knight aveva costretto qualcuno ad attenderlo più di cinque minuti; purtroppo il destino beffardo aveva invece voluto che il buon professore si fosse circondato di persone che della puntualità non facevano virtù.
    Già da ore la nebbia avvolgeva l'ambiente circostante in un grigiore ovattato che, oltre ad interporre muri invisibili tra gli occhi dei viandanti e l'ambiente esterno, attutiva ogni suono e copriva gli odori con il proprio. Questo non impedì al professore di gettare un'ultima occhiata alle guglie gotiche del Palazzo di Westminster, per poi andare a dirigersi verso la ringhiera metallica che delimitava la sponda ovest del Tamigi; il fiume scorreva lentamente, e la foschia non impediva alla luna di riflettersi sulle acque calme. Knight trascorse qualche minuto ad osservare i bagliori che tremolavano sulla superficie del Tamigi, mentre si beava del dolce e rilassante rumore dell'acqua.
    Il professore fu destato dal torpore in cui era caduto da un paio di decisi colpetti sulla spalla, seguiti da una voce nota:
    - Professore..........scusi il ritardo. - disse l'individuo, esprimendo rincrescimento e dispiacere attraverso lo sguardo basso e il volto contrito.
    Si trattava di Jason Paddington, studente modello, brillante, intelligente, ma a volte eccessivamente pedante. Fortunatamente per il ragazzo, il professor Knight si disinteressava completamente della sfera caratteriale dei proprio allievi; in questo modo, solo i brillanti risultati accademici avevano reso Jason interessante agli occhi del proprio professore. Il ragazzo, alto e magrissimo, indossava un'anonima giacca marrone e portava con sé una piccola borsa scura; i capelli chiari erano scarmigliati, come al solto, e sul viso cominciava a farsi insistente un accenno di barba che Knight trovava assolutamente antiestetico. Mantenendo un'espressione dura e severa, il professore si rivolse al giovane:
    - Mio caro figliolo........come mio padre era solito ricordarmi, non sempre l'attesa genera aspettativa. Il più delle volte, anzi, contribuisce a mettere in cattiva luce chi la utilizza per farsi desiderare. Spero bene che i suoi trenta minuti di ritardo non siano dovuti a velleità narcisistiche, signor Paddington.
    - Oh no, no di certo! - si affrettò a controbattere il ragazzo, chiedendo comprensione attraverso lo sguardo dimesso e una serie di inequivocabili gesticolazioni. Jason sollevò la borsa con entrambe le mani e la colpì un paio di volte con gesto plateale, e prima di riprendere a parlare si dipinse sul suo volto il sorriso dell'entusiasmo e dell'euforia; il mutamento di espressione fu accompagnato da uno spalancarsi degli occhi che per qualche attimo fece scorrere un brivido lungo la schiena del professor Knight.
    - Il mio ritardo è più che giustificato professore. Non è stato facile, ma sono riuscito a recuperare materiale piuttosto interessante; sono certo che apprezzerà i miei sforzi, signore! -
    Knight fissò la figura del ragazzo con aria interrogativa, alternando il soggetto del proprio sguardo tra il volto del giovane e la borsa.
    - Mi spiace per lei signor Paddington, ma questa non è una valida giustificazione. Avrebbe dovuto prevedere il ritardo e anticipare le sue ricerche...... -
    - Ora basta, professore! E' tardi, dunque direi di muoverci. -
    In qualunque altra situazione Knight avrebbe punito tale sfacciataggine con uno schiaffo bene assestato e una comunicazione ai genitori; in quell'istante, tuttavia, il professore sentiva di non riconoscere più l'allievo zelante che gli aveva dato tante soddisfazioni in passato. Qualcosa gli diceva che quella sera sarebbe stato meglio sbollire la rabbia nella gelida nebbia londinese.
    Afferrò l'ombrello che aveva agganciato alla balaustra di metallo, si assestò la bombetta sul capo e rivolse una rapida occhiata al cielo, reso ancora più grigio e plumbeo dalla fitta foschia.

    I due raggiunsero la sponda opposta del fiume attraversando Westminster Bridge, e fu come immergersi nell'ovatta quando a metà strada Knight si rese conto che non si riusciva a scorgere la terra ferma.
    Risalirono il Tamigi sul lato est, e il professore si vide spesso costretto ad accelerare il passo per evitare che il ragazzo si perdesse nella nebbia. Knight si rese conto all'improvviso di essere giunto in prossimità del Tower Bridge, senza aver notato con il consueto anticipo le luci di illuminazione dell'antica struttura; si rammaricò di non riuscire a cogliere neanche uno scorcio della Torre di Londra, e imprecò tra sé e sé contro la nebbia che si faceva ogni minuto più fitta.

    - Mi parli della vita, professore. - fu il modo bizzarro con cui Paddington ruppe venti minuti di silenzio.
    Knight fissò perplesso il ragazzo che lo precedeva, e che gli aveva rivolto la parola senza girarsi.
    - Domanda ambiziosa, figliolo. Ma mi pare di averne già discusso a lungo con lei, in classe. -
    - No professore, non voglio un'altra lezione di biologia. Voglio che mi parli di quello che non è incluso nel programma dei suoi corsi; di cosa parlate al circolo, lei e gli altri insegnanti? Cosa non direste mai ai vostri allievi? - il tono della sua voce si era fatto allusivo e, in un qualche modo, inquietante.
    - Sono un biologo, non potrei dirle niente di diverso da ciò che già insegno a lei e ai suoi colleghi a lezione. Se sta cercando qualcuno che cominci a filosofeggiare sul significato metafisico della vita, allora temo che abbia sbagliato persona.
    - Oh no. Lei è proprio la persona giusta per soddisfare le mie curiosità! Ci pensi bene.....mi dica la prima cosa che le viene in mente. Knight cominciava a spazientirsi:
    - Senta, giovanotto, apprezzo la sana curiosità delle menti sveglie e brillanti come la sua; tuttavia, le ricordo ciò che già dovrebbe sapere: non mi piace dare confidenza agli studenti, e tantomeno al di fuori delle normali ore di lezione e di ricevimento. Le sto facendo un favore, e lo faccio volentieri, mi creda; ma limitiamoci a raggiungere la nostra destinazione. E se proprio vogliamo intavolare una conversazione, approfittiamone per chiarire qualcuno dei lati oscuri di questa situazione. Quindi, se c'è una persona che deve parlare, questo è lei, signor Paddington.
    = Troppo duro? No...giustamente rigoroso. = penso tra sé Knight. Il ragazzo interruppe improvvisamente la propria marcia e si girò di scatto, fissando il professore dritto negli occhi con sguardo truce e severo; Knight impallidì e arretrò istintivamente, cercando inconsciamente con lo sguardo la rassicurante presenza di altri viandanti, o magari di un Bobby.
    - Ha ragione professore. Continuiamo.
    Knight trasse un sospiro e maleddise sé stesso per la propria infantile stupidità, mentre tornava a sforzarsi di non perdere di vista la figura del giovane.

    La mancanza di ogni punto di riferimento era una condizione alla quale gli abitanti di Londra erano bene abituati; attraversare la città quando la nebbia serra la sua morsa occultatrice non è qualcosa che chiunque riuscirebbe a fare.
    Ciononostante, Edward Knight sentì che tutta la confidenza che aveva con la propria città adottiva (seconda nei suoi affetti solo a Canterbury) si era improvvisamente disgregata. Aveva commesso un grave errore quando aveva affidato unicamente alla figura del ragazzo il ruolo di luce guida, e ora che il giovane non era più in vista doveva rassegnarsi a pagarne le conseguenze: smarrito nella città che meglio conosceva.
    Prima di perdere quel briciolo di dignità che ancora gli rimaneva e iniziare a invocare aiuto come un fanciullo, Knight smise di avanzare nel nulla e si guardò attorno con attenzione: niente di niente; ovunque il suo sguardo si andasse a posare non si riusciva a scorgere altro che una cortina di nebbia spessa e fumosa. Né luci, né segni di attività umana, né rumori......il nulla assoluto.
    Beh, tenendo conto del poco tempo che era passato da quando aveva lasciato il Palazzo di Westminster, non avrebbe dovuto trovarsi poi tanto lontano dalle sponde del Tamigi, anche se, pur tendendo con attenzione le orecchie, i rumori dell'acqua non erano percettibili.
    Dopo aver compiuto un giro su sé stesso, il professore chiamò ad alta voce, ma senza strillare: - Signor Paddington? Si fermi un attimo e torni verso di me, per cortesia; non la scorgo più.
    Silenzio.
    - Jason.....mi sente? Dica qualcosa, in modo che possa rendermi conto della sua posizione. -
    Silenzio.
    = Oh Santo cielo! = imprecò spazientito il professore, che protese le braccia di fronte a sé ed iniziò a brancolare in avanti, pronto ad afferrare qualcosa che potesse fornirgli un'indicazione.
    Avanzò per circa un minuto, continuando a richiamare l'attenzione del ragazzo che, evidentemente, aveva proseguito senza accorgersi che il proprio accompagnatore si era attardato. Quando, finalmente, le sue mani toccarono qualcosa più solido della nebbia: un tronco, a quanto pareva.....un tronco d'albero. La mente di Knight iniziò a selezionare velocemente tutti i luoghi ubicati nelle vicinanze del fiume che potevano ospitare alberi; parecchi, a dire il vero, anche se la nebbia impediva di scorgere rami e foglie, ed era dunque impossibile capire di che tipo di albero si trattasse.



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