LONDRA
7 dicembre 1919
Il Big Ben annunciò le otto di sera con la solita maestosa solennità.
Il Professor Edward Knight udì i rintocchi dell'antico e glorioso
monumento forti, chiari e molto vicini a sé; levò lo sguardo verso l'alto
e, mentre fissava le lancette dell'imponente quadro, portò inconsciamente
la mano sotto il pesante cappotto fino al taschino del suo gessato blu, per
estrarne un delizioso orologio da tasca.
Dopo aver fatto scattare il coperchio lucido e dorato con un rapido
movimento delle dita della mano destra, sollevò il delicato meccanismo e,
senza distogliere lo sguardo dal monumento, gettò un'occhiata veloce alle
piccole frecce argentate:
- Otto in punto. - pensò soddisfatto tra sé e sé mentre, lasciando
affiorare un sorriso, richiudeva delicatamente il coperchio dell'oggetto
con entrambe le mani e lo riponeva nella tasca della giacca.
La soddisfazione per la precisione del prezioso marcatempo, però, lasciò
subito il posto alla frustrazione dell'attesa, e alla rabbia nei confronti
di chi la provocava. Mai una volta Edward Knight aveva costretto qualcuno
ad attenderlo più di cinque minuti; purtroppo il destino beffardo aveva
invece voluto che il buon professore si fosse circondato di persone che
della puntualità non facevano virtù.
Già da ore la nebbia avvolgeva l'ambiente circostante in un grigiore
ovattato che, oltre ad interporre muri invisibili tra gli occhi dei
viandanti e l'ambiente esterno, attutiva ogni suono e copriva gli odori con
il proprio. Questo non impedì al professore di gettare un'ultima occhiata
alle guglie gotiche del Palazzo di Westminster, per poi andare a dirigersi
verso la ringhiera metallica che delimitava la sponda ovest del Tamigi; il
fiume scorreva lentamente, e la foschia non impediva alla luna di
riflettersi sulle acque calme. Knight trascorse qualche minuto ad osservare
i bagliori che tremolavano sulla superficie del Tamigi, mentre si beava del
dolce e rilassante rumore dell'acqua.
Il professore fu destato dal torpore in cui era caduto da un paio di decisi
colpetti sulla spalla, seguiti da una voce nota:
- Professore..........scusi il ritardo. - disse l'individuo, esprimendo
rincrescimento e dispiacere attraverso lo sguardo basso e il volto
contrito.
Si trattava di Jason Paddington, studente modello, brillante, intelligente,
ma a volte eccessivamente pedante. Fortunatamente per il ragazzo, il
professor Knight si disinteressava completamente della sfera caratteriale
dei proprio allievi; in questo modo, solo i brillanti risultati accademici
avevano reso Jason interessante agli occhi del proprio professore.
Il ragazzo, alto e magrissimo, indossava un'anonima giacca marrone e
portava con sé una piccola borsa scura; i capelli chiari erano
scarmigliati, come al solto, e sul viso cominciava a farsi insistente un
accenno di barba che Knight trovava assolutamente antiestetico.
Mantenendo un'espressione dura e severa, il professore si rivolse al
giovane:
- Mio caro figliolo........come mio padre era solito ricordarmi, non sempre
l'attesa genera aspettativa. Il più delle volte, anzi, contribuisce a
mettere in cattiva luce chi la utilizza per farsi desiderare. Spero bene
che i suoi trenta minuti di ritardo non siano dovuti a velleità
narcisistiche, signor Paddington.
- Oh no, no di certo! - si affrettò a controbattere il ragazzo, chiedendo
comprensione attraverso lo sguardo dimesso e una serie di inequivocabili
gesticolazioni. Jason sollevò la borsa con entrambe le mani e la colpì un
paio di volte con gesto plateale, e prima di riprendere a parlare si
dipinse sul suo volto il sorriso dell'entusiasmo e dell'euforia; il
mutamento di espressione fu accompagnato da uno spalancarsi degli occhi che
per qualche attimo fece scorrere un brivido lungo la schiena del professor
Knight.
- Il mio ritardo è più che giustificato professore. Non è stato facile,
ma sono riuscito a recuperare materiale piuttosto interessante; sono certo
che apprezzerà i miei sforzi, signore! -
Knight fissò la figura del ragazzo con aria interrogativa, alternando il
soggetto del proprio sguardo tra il volto del giovane e la borsa.
- Mi spiace per lei signor Paddington, ma questa non è una valida
giustificazione. Avrebbe dovuto prevedere il ritardo e anticipare le sue
ricerche...... -
- Ora basta, professore! E' tardi, dunque direi di muoverci. -
In qualunque altra situazione Knight avrebbe punito tale sfacciataggine con
uno schiaffo bene assestato e una comunicazione ai genitori; in
quell'istante, tuttavia, il professore sentiva di non riconoscere più
l'allievo zelante che gli aveva dato tante soddisfazioni in passato.
Qualcosa gli diceva che quella sera sarebbe stato meglio sbollire la rabbia
nella gelida nebbia londinese.
Afferrò l'ombrello che aveva agganciato alla balaustra di metallo, si
assestò la bombetta sul capo e rivolse una rapida occhiata al cielo, reso
ancora più grigio e plumbeo dalla fitta foschia.
I due raggiunsero la sponda opposta del fiume attraversando Westminster
Bridge, e fu come immergersi nell'ovatta quando a metà strada Knight si
rese conto che non si riusciva a scorgere la terra ferma.
Risalirono il Tamigi sul lato est, e il professore si vide spesso costretto
ad accelerare il passo per evitare che il ragazzo si perdesse nella nebbia.
Knight si rese conto all'improvviso di essere giunto in prossimità del
Tower Bridge, senza aver notato con il consueto anticipo le luci di
illuminazione dell'antica struttura; si rammaricò di non riuscire a
cogliere neanche uno scorcio della Torre di Londra, e imprecò tra sé e
sé contro la nebbia che si faceva ogni minuto più fitta.
- Mi parli della vita, professore. - fu il modo bizzarro con cui Paddington
ruppe venti minuti di silenzio.
Knight fissò perplesso il ragazzo che lo precedeva, e che gli aveva
rivolto la parola senza girarsi.
- Domanda ambiziosa, figliolo. Ma mi pare di averne già discusso a lungo
con lei, in classe. -
- No professore, non voglio un'altra lezione di biologia. Voglio che mi
parli di quello che non è incluso nel programma dei suoi corsi; di cosa
parlate al circolo, lei e gli altri insegnanti? Cosa non direste mai ai
vostri allievi? - il tono della sua voce si era fatto allusivo e, in un
qualche modo, inquietante.
- Sono un biologo, non potrei dirle niente di diverso da ciò che già
insegno a lei e ai suoi colleghi a lezione. Se sta cercando qualcuno che
cominci a filosofeggiare sul significato metafisico della vita, allora temo
che abbia sbagliato persona.
- Oh no. Lei è proprio la persona giusta per soddisfare le mie curiosità!
Ci pensi bene.....mi dica la prima cosa che le viene in mente.
Knight cominciava a spazientirsi:
- Senta, giovanotto, apprezzo la sana curiosità delle menti sveglie e
brillanti come la sua; tuttavia, le ricordo ciò che già dovrebbe sapere:
non mi piace dare confidenza agli studenti, e tantomeno al di fuori delle
normali ore di lezione e di ricevimento. Le sto facendo un favore, e lo
faccio volentieri, mi creda; ma limitiamoci a raggiungere la nostra
destinazione. E se proprio vogliamo intavolare una conversazione,
approfittiamone per chiarire qualcuno dei lati oscuri di questa situazione.
Quindi, se c'è una persona che deve parlare, questo è lei, signor
Paddington.
= Troppo duro? No...giustamente rigoroso. = penso tra sé Knight.
Il ragazzo interruppe improvvisamente la propria marcia e si girò di
scatto, fissando il professore dritto negli occhi con sguardo truce e
severo; Knight impallidì e arretrò istintivamente, cercando
inconsciamente con lo sguardo la rassicurante presenza di altri viandanti,
o magari di un Bobby.
- Ha ragione professore. Continuiamo.
Knight trasse un sospiro e maleddise sé stesso per la propria infantile
stupidità, mentre tornava a sforzarsi di non perdere di vista la figura
del giovane.
La mancanza di ogni punto di riferimento era una condizione alla quale gli
abitanti di Londra erano bene abituati; attraversare la città quando la
nebbia serra la sua morsa occultatrice non è qualcosa che chiunque
riuscirebbe a fare.
Ciononostante, Edward Knight sentì che tutta la confidenza che aveva con
la propria città adottiva (seconda nei suoi affetti solo a Canterbury) si
era improvvisamente disgregata. Aveva commesso un grave errore quando aveva
affidato unicamente alla figura del ragazzo il ruolo di luce guida, e ora
che il giovane non era più in vista doveva rassegnarsi a pagarne le
conseguenze: smarrito nella città che meglio conosceva.
Prima di perdere quel briciolo di dignità che ancora gli rimaneva e
iniziare a invocare aiuto come un fanciullo, Knight smise di avanzare nel
nulla e si guardò attorno con attenzione: niente di niente; ovunque il suo
sguardo si andasse a posare non si riusciva a scorgere altro che una
cortina di nebbia spessa e fumosa. Né luci, né segni di attività umana,
né rumori......il nulla assoluto.
Beh, tenendo conto del poco tempo che era passato da quando aveva lasciato
il Palazzo di Westminster, non avrebbe dovuto trovarsi poi tanto lontano
dalle sponde del Tamigi, anche se, pur tendendo con attenzione le orecchie,
i rumori dell'acqua non erano percettibili.
Dopo aver compiuto un giro su sé stesso, il professore chiamò ad alta
voce, ma senza strillare: - Signor Paddington? Si fermi un attimo e torni
verso di me, per cortesia; non la scorgo più.
Silenzio.
- Jason.....mi sente? Dica qualcosa, in modo che possa rendermi conto della
sua posizione. -
Silenzio.
= Oh Santo cielo! = imprecò spazientito il professore, che protese le
braccia di fronte a sé ed iniziò a brancolare in avanti, pronto ad
afferrare qualcosa che potesse fornirgli un'indicazione.
Avanzò per circa un minuto, continuando a richiamare l'attenzione del
ragazzo che, evidentemente, aveva proseguito senza accorgersi che il
proprio accompagnatore si era attardato. Quando, finalmente, le sue mani
toccarono qualcosa più solido della nebbia: un tronco, a quanto
pareva.....un tronco d'albero. La mente di Knight iniziò a selezionare
velocemente tutti i luoghi ubicati nelle vicinanze del fiume che potevano
ospitare alberi; parecchi, a dire il vero, anche se la nebbia impediva di
scorgere rami e foglie, ed era dunque impossibile capire di che tipo di
albero si trattasse.
|