Prologo
La tonalità arancio-rossa dell'illuminazione d'emergenza, era ciò che
spaventava maggiormente il capo Kuriakin.
Nei ventitre anni di carriera come sommergibilista, ne aveva passate molte
ma tutti i suoi incubi peggiori avevano quella tonalità di colore.
Ed ora ne stava vivendo uno in prima persona.
Teneva le mani ferme sulle spalle del giovane timoniere. Un po' per fargli
coraggio, un po' per evitare di dare di matto egli stesso. I manometri dei
controlli non gli erano mai apparsi tanto ostili e lugubri.
"Angolo di ascesa: diciotto gradi. Velocità: quindici metri al secondo. In
aumento" comunicò al suo superiore, il compagno tenente Voloka.
Un brivido di terrore gli percorse la schiena quando sentendo ripetere le
sue parole dal tenente, si rese effettivamente conto di ciò che
significavano.
Uno scossone improvviso percorse l'intero vascello, mandando a gambe
all'aria chiunque non fosse saldamente assicurato a qualcosa. Nel caos
generale del ponte di comando, la voce del navigatore riuscì a raggelare
tutti i presenti.
"Siamo usciti dal campo magnetico terrestre. Dirigiamo verso rotta uno uno
nove, angolo galattico quattro sette."
Kuriakin dovette passarsi più volte la mani sulle palpebre per riuscire a
leggere i manometri di manovra.
"Velocità trentaquattro metri al secondo. In aumento. Angolo di ascesa,
rispetto al campo magnetico solare: uno sette uno gradi."
Mentre si voltava verso il capitano per poterne trovare rassicurazione nei
suoi occhi freddi, si rese conto che tutto sul ponte appariva essersi
fermato.
Il tempo, l'aria. Perfino il rumore di fondo sempre presente. Tutto si era
fermato in attesa della voce del capitano.
E dopo un intero, lunghissimo minuto, il capitano fece sentire la sua voce,
ma non erano le parole che tutti si aspettavano.
"Complimenti, compagno commissario Tatanovich." disse rivolgendosi al
commissario politico di bordo "Nella sua fretta di testare il meccanismo
'Delta', lei ci ha appena ucciso tutti."
L'ago del manometro che misurava la velocità relativa salì tanto velocemente
che usci presto fuori scala. Dopo al capo Kuriakin restò solo il tempo di
mormorare sottovoce cinque parole dirette al commissario politico.
"...maledetto stronzo di un georgiano..."
Il sommergibile sovietico "Alba Nuova" viaggiava sparato, ad una velocità
impensabile, verso destinazione ignota.
L'equipaggio dell'"Alba Nuova" era morto molto prima di raggiungerla.
In effetti, era morto addirittura molto prima di rendersene conto. Spalmato
sulle pareti del sommergibile dai trentadue G di gravità che il vascello
aveva raggiunto prima che iniziasse a rallentare.
Parte prima
Un altro tipo di allarme risuonava altrove.
Precisamente nella testa del capo ingegnere della USS Unicorn, tenente
Newport.
Birra romulana; l'ultimo baluardo per testare la resistenza umana.
Nonostante fosse illegale, se non in tutta la federazione, almeno nella
flotta astrale, c'erano momenti in cui una o due fiale da sette decimi di
litro, spuntavano sempre.
Nessuno ci faceva davvero caso. Cos'era un matrimonio,un addio al celibato o
una festa di compleanno senza che il festeggiato o chiunque altro a caso,
finisse svenuto sotto un tavolo o peggio?
Ovviamente questo non era valido il mattino dopo. Quando furiosi martelli
risuonavano sulle pareti del cranio degli sventati che avevano osato
avvicinarsi a quelle maledette fiale.
Newport aprì lentamente gli occhi solo quando si era assicurato che nessuno
giacesse accanto a lui.
Non che al momento avesse una relazione seria, solo un irritante gioco di
sguardi incerti e parole non dette con la dottoressa Selenjak, ma
risvegliarsi nel letto sbagliato o con la persona sbagliata la mattina dopo
una festa di compleanno particolarmente vivace, poteva essere moooolto male.
Nonostante avessero un sacco di qualità, i naniti che ospitava nel suo
sistema circolatorio, non riuscivano mai a proteggerlo dai postumi di una
sbronza. E quello era uno di quei giorni in cui cominciava a pensare di
diventare davvero troppo vecchio per quelle cose.
Qualcosa non andava nei suoi occhi. O almeno così sperava. Perché, quando
mai aveva posseduto delle lenzuola rosa fucsia? No, no. I suoi occhi
andavano bene. A prima vista quella non appariva essere la sua cabina.
Quindi quelle lenzuola appartenevano a qualcun altro. Bene.
Nel letto era solo. Dal bagno non proveniva nessun rumore, ne di doccia ne
di altro, non riconosceva la cabina e quindi sperò di trovarsi in una per
gli ospiti fortunatamente vuota.
Riuscì, dal letto, ad individuare il replicatore, quindi richiudendo gli
occhi, si apprestò ad alzarsi. Era il momento di affrontare la prima
battaglia della giornata. Quella contro i tamburi rullanti nella sua testa.
Si diresse verso il replicatore e quasi cadde inciampando in qualcosa che
giaceva accanto al letto. Con gli occhi chiusi e la voce rasposa fece la sua
richiesta.
"Computer, Vicodin. due dosi."
"Questo terminale non è abilitato per questo livello di prescrizione
medica." Replicò l'irritante sintetizzatore vocale del replicatore. Newport
emise un basso lamento insieme ad una mezza imprecazione. In realtà nessun
replicatore a bordo, tranne quelli dell'infermeria, era abilitato a quel
tipo di prescrizione medica.
"Prego contattare l'infermeria" Concluse il computer.
E questo era il motivo per cui teneva sempre una piccola farmacia
d'emergenza nella sua cabina. C'erano momenti in cui proprio non aveva
prorpio voglia di esporsi in infermeria. E questo era uno di quelli.
Fortunatamente c'erano altri modi per combattere la nausea e il mal di testa
di un mattino come quello.
"Computer: Aspirina. Quattro dosi."
Il dolce rumore del replicatore accondiscese a quella richiesta. Ma non
bastava.
"Computer: un bicchiere di zabaglione col quindici per cento di caffè e il
cinque per cento di vodka."
Spedì le aspirine in fondo alla gola e le mandò giù con un generoso sorso di
beverone. Con zuccheri, proteine, caffeina ed una piccola dose di alcool, le
aspirine aiutarono il suo cervello a contenere il dolore ed il suo stomaco,
la nausea.
Alle vitamine, i carboidrati e i grassi, ci avrebbe pensato a colazione. Ora
per lo meno poteva riaprire gli occhi senza timore. Un istante dopo pregò di
poterli chiudere per sempre.
Vide in cosa era inciampato prima. I corpo supino, statuario e nudo del
tenente Simms. Ufficiale della sicurezza. Russava sonoramente.
Specifichiamo: Non il tenente Arnold "Arnie" Simms della cartografia
stellare. Il tenente Lucelia "BadMoon" Simms, della sicurezza.
Ma era meglio se si fosse svegliato nello stesso letto con Arnie Simms. O
con uno dei tanti alieni in forza sulla Unicorn.
Due metri e dieci di muscoli, cattivo umore e carattere ancora peggiore,
"BadMoon" Simms era nata su una colonia ad alta gravità. Era nota per avere
un sorriso "Freddo come quello di un giudice" ed aver spezzato più di una
schiena nella sua carriera.
Questa era più una diceria che altro, ma le abilità combattive e la forza di
Luce Simms erano tutt'altro modeste. E note a tutto l'equipaggio.
Newport era finito. O almeno tale si sentiva.
Quando lei si fosse svegliata, e si fosse resa conto della situazione,
nessuna paratia della nave lo avrebbe difeso abbastanza a lungo dalla sua
furia omicida. Ed in più, lui non si ricordava affatto di come erano andate
le cose la sera prima.
Si accasciò a terra appoggiandosi alla parete e finendo di ingollare il
beverone. BadMoon Simms non era una brutta ragazza, tutt'altro. Le forme
erano quelle giuste, solo riempite di muscoli d'acciaio e se si riusciva a
tenere la testa alzata, con lo sguardo fisso nei suoi occhi, quando le si
parlava, allora poteva anche andare bene.
Il suo problema era il carattere.
Quando si trovava un bozzo in qualche paratia, si diceva che da li era
passata BadMoon Simms di cattivo umore e si cambiava strada per evitare di
incontrarla.
Solo una superstizione di bordo ma nessuno si era preso mai la briga ci
controllare se fosse vero.
Ora Newport avrebbe avuto uno di quei bozzi della grandezza di un pugno nel
suo cranio. Sarebbe diventato la testimonianza vivente del cattivo umore di
Luce Simms.
Grande. La fine perfetta della sua carriera.
Poi si accorse di una cosa. Nonostante fosse a petto nudo, indossava ancora
i pantaloni dell'uniforme. Strano.
Mettendo meglio a fuoco il corpo della Simms, oltre ad costatare il lento e
regolare respiro, notò anche che indossava ancora la, piuttosto castigata,
biancheria intima.
Era di color carne e per questo all'inizio aveva pensato che lei fosse nuda
ma c'era. Tutta ed intatta.
Emise un sospiro di sollievo.
Non era mai accaduto che si fosse svegliato accanto ad una ragazza con la
quale avesse passato una notte di passione indossando ancora i pantaloni e
con lei con ancora indosso la biancheria.
Allora forse non era davvero accaduto nulla.
Tirò un altro sospiro di sollievo.
Probabilmente, si disse speranzoso, era arrivato per primo in quella cabina,
e quando lei vi era entrata, dopo che si era svestita, lo aveva notato sotto
le lenzuola e si era addormentata li. Per terra.
O almeno sperava che così fosse andata. L'importante era crederci. Non aveva
davvero voglia di svegliarla per sapere come erano andate le cose in realtà.
Poteva essergli fatale.
L'alternativa più valida era filare via il più silenziosamente possibile.
Confidare che neanche lei non ricordasse, fare finta di nulla e sperare per
il meglio.
Non era una comportamento onesto e onorevole ma al momento era tutto quello
che riuscisse ad elaborare. In fondo più spazio metteva tra lei e la sua
testa, maggiore era il tempo che aveva di trovare una ragionevole
argomentazione per convincerla a non staccargli la testa.
D'accordo allora. Piano piano, raccogliamo il resto dell'uniforme e senza
far rumore usciamo dalla gabbia prima che il leone...pardon la leonessa si
svegli...
Purtroppo tutti i suoi buoni propositi andarono in fumo quando il
comunicatore sulla sua giacca risuonò come un tuono nella cabina.
"Knight a Newport: A rapporto in plancia prego."
La testa dell'ufficiale della sicurezza scatto il alto come una molla. Occhi
cerchiati e furenti lo squadrarono e lui non aveva spazio per arretrare.
Altro che leonessa. Quella che lo fissava era una furia della dimensione di
una tragedia greca.
Ora si che erano guai.
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