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EFFETTO DELTA - PARTE I di Aristide Gorizia
5 novembre 2003

    Prologo

    La tonalità arancio-rossa dell'illuminazione d'emergenza, era ciò che spaventava maggiormente il capo Kuriakin.
    Nei ventitre anni di carriera come sommergibilista, ne aveva passate molte ma tutti i suoi incubi peggiori avevano quella tonalità di colore.

    Ed ora ne stava vivendo uno in prima persona.

    Teneva le mani ferme sulle spalle del giovane timoniere. Un po' per fargli coraggio, un po' per evitare di dare di matto egli stesso. I manometri dei controlli non gli erano mai apparsi tanto ostili e lugubri.

    "Angolo di ascesa: diciotto gradi. Velocità: quindici metri al secondo. In aumento" comunicò al suo superiore, il compagno tenente Voloka.

    Un brivido di terrore gli percorse la schiena quando sentendo ripetere le sue parole dal tenente, si rese effettivamente conto di ciò che significavano.

    Uno scossone improvviso percorse l'intero vascello, mandando a gambe all'aria chiunque non fosse saldamente assicurato a qualcosa. Nel caos generale del ponte di comando, la voce del navigatore riuscì a raggelare tutti i presenti.

    "Siamo usciti dal campo magnetico terrestre. Dirigiamo verso rotta uno uno nove, angolo galattico quattro sette."
    Kuriakin dovette passarsi più volte la mani sulle palpebre per riuscire a leggere i manometri di manovra.
    "Velocità trentaquattro metri al secondo. In aumento. Angolo di ascesa, rispetto al campo magnetico solare: uno sette uno gradi."

    Mentre si voltava verso il capitano per poterne trovare rassicurazione nei suoi occhi freddi, si rese conto che tutto sul ponte appariva essersi fermato.
    Il tempo, l'aria. Perfino il rumore di fondo sempre presente. Tutto si era fermato in attesa della voce del capitano.

    E dopo un intero, lunghissimo minuto, il capitano fece sentire la sua voce, ma non erano le parole che tutti si aspettavano.

    "Complimenti, compagno commissario Tatanovich." disse rivolgendosi al commissario politico di bordo "Nella sua fretta di testare il meccanismo 'Delta', lei ci ha appena ucciso tutti."

    L'ago del manometro che misurava la velocità relativa salì tanto velocemente che usci presto fuori scala. Dopo al capo Kuriakin restò solo il tempo di mormorare sottovoce cinque parole dirette al commissario politico.
    "...maledetto stronzo di un georgiano..."

    Il sommergibile sovietico "Alba Nuova" viaggiava sparato, ad una velocità impensabile, verso destinazione ignota.
    L'equipaggio dell'"Alba Nuova" era morto molto prima di raggiungerla.

    In effetti, era morto addirittura molto prima di rendersene conto. Spalmato sulle pareti del sommergibile dai trentadue G di gravità che il vascello aveva raggiunto prima che iniziasse a rallentare.

    Parte prima

    Un altro tipo di allarme risuonava altrove.

    Precisamente nella testa del capo ingegnere della USS Unicorn, tenente Newport.
    Birra romulana; l'ultimo baluardo per testare la resistenza umana.
    Nonostante fosse illegale, se non in tutta la federazione, almeno nella flotta astrale, c'erano momenti in cui una o due fiale da sette decimi di litro, spuntavano sempre.

    Nessuno ci faceva davvero caso. Cos'era un matrimonio,un addio al celibato o una festa di compleanno senza che il festeggiato o chiunque altro a caso, finisse svenuto sotto un tavolo o peggio?
    Ovviamente questo non era valido il mattino dopo. Quando furiosi martelli risuonavano sulle pareti del cranio degli sventati che avevano osato avvicinarsi a quelle maledette fiale.

    Newport aprì lentamente gli occhi solo quando si era assicurato che nessuno giacesse accanto a lui.
    Non che al momento avesse una relazione seria, solo un irritante gioco di sguardi incerti e parole non dette con la dottoressa Selenjak, ma risvegliarsi nel letto sbagliato o con la persona sbagliata la mattina dopo una festa di compleanno particolarmente vivace, poteva essere moooolto male.

    Nonostante avessero un sacco di qualità, i naniti che ospitava nel suo sistema circolatorio, non riuscivano mai a proteggerlo dai postumi di una sbronza. E quello era uno di quei giorni in cui cominciava a pensare di diventare davvero troppo vecchio per quelle cose.

    Qualcosa non andava nei suoi occhi. O almeno così sperava. Perché, quando mai aveva posseduto delle lenzuola rosa fucsia? No, no. I suoi occhi andavano bene. A prima vista quella non appariva essere la sua cabina.
    Quindi quelle lenzuola appartenevano a qualcun altro. Bene.

    Nel letto era solo. Dal bagno non proveniva nessun rumore, ne di doccia ne di altro, non riconosceva la cabina e quindi sperò di trovarsi in una per gli ospiti fortunatamente vuota.

    Riuscì, dal letto, ad individuare il replicatore, quindi richiudendo gli occhi, si apprestò ad alzarsi. Era il momento di affrontare la prima battaglia della giornata. Quella contro i tamburi rullanti nella sua testa.

    Si diresse verso il replicatore e quasi cadde inciampando in qualcosa che giaceva accanto al letto. Con gli occhi chiusi e la voce rasposa fece la sua richiesta.

    "Computer, Vicodin. due dosi."

    "Questo terminale non è abilitato per questo livello di prescrizione medica." Replicò l'irritante sintetizzatore vocale del replicatore. Newport emise un basso lamento insieme ad una mezza imprecazione. In realtà nessun replicatore a bordo, tranne quelli dell'infermeria, era abilitato a quel tipo di prescrizione medica.

    "Prego contattare l'infermeria" Concluse il computer.

    E questo era il motivo per cui teneva sempre una piccola farmacia d'emergenza nella sua cabina. C'erano momenti in cui proprio non aveva prorpio voglia di esporsi in infermeria. E questo era uno di quelli.

    Fortunatamente c'erano altri modi per combattere la nausea e il mal di testa di un mattino come quello.

    "Computer: Aspirina. Quattro dosi."
    Il dolce rumore del replicatore accondiscese a quella richiesta. Ma non bastava.
    "Computer: un bicchiere di zabaglione col quindici per cento di caffè e il cinque per cento di vodka."

    Spedì le aspirine in fondo alla gola e le mandò giù con un generoso sorso di beverone. Con zuccheri, proteine, caffeina ed una piccola dose di alcool, le aspirine aiutarono il suo cervello a contenere il dolore ed il suo stomaco, la nausea.

    Alle vitamine, i carboidrati e i grassi, ci avrebbe pensato a colazione. Ora per lo meno poteva riaprire gli occhi senza timore. Un istante dopo pregò di poterli chiudere per sempre.

    Vide in cosa era inciampato prima. I corpo supino, statuario e nudo del tenente Simms. Ufficiale della sicurezza. Russava sonoramente.

    Specifichiamo: Non il tenente Arnold "Arnie" Simms della cartografia stellare. Il tenente Lucelia "BadMoon" Simms, della sicurezza.

    Ma era meglio se si fosse svegliato nello stesso letto con Arnie Simms. O con uno dei tanti alieni in forza sulla Unicorn.
    Due metri e dieci di muscoli, cattivo umore e carattere ancora peggiore, "BadMoon" Simms era nata su una colonia ad alta gravità. Era nota per avere un sorriso "Freddo come quello di un giudice" ed aver spezzato più di una schiena nella sua carriera.

    Questa era più una diceria che altro, ma le abilità combattive e la forza di Luce Simms erano tutt'altro modeste. E note a tutto l'equipaggio.

    Newport era finito. O almeno tale si sentiva.

    Quando lei si fosse svegliata, e si fosse resa conto della situazione, nessuna paratia della nave lo avrebbe difeso abbastanza a lungo dalla sua furia omicida. Ed in più, lui non si ricordava affatto di come erano andate le cose la sera prima.

    Si accasciò a terra appoggiandosi alla parete e finendo di ingollare il beverone. BadMoon Simms non era una brutta ragazza, tutt'altro. Le forme erano quelle giuste, solo riempite di muscoli d'acciaio e se si riusciva a tenere la testa alzata, con lo sguardo fisso nei suoi occhi, quando le si parlava, allora poteva anche andare bene.

    Il suo problema era il carattere.
    Quando si trovava un bozzo in qualche paratia, si diceva che da li era passata BadMoon Simms di cattivo umore e si cambiava strada per evitare di incontrarla.
    Solo una superstizione di bordo ma nessuno si era preso mai la briga ci controllare se fosse vero.

    Ora Newport avrebbe avuto uno di quei bozzi della grandezza di un pugno nel suo cranio. Sarebbe diventato la testimonianza vivente del cattivo umore di Luce Simms.

    Grande. La fine perfetta della sua carriera.

    Poi si accorse di una cosa. Nonostante fosse a petto nudo, indossava ancora i pantaloni dell'uniforme. Strano.
    Mettendo meglio a fuoco il corpo della Simms, oltre ad costatare il lento e regolare respiro, notò anche che indossava ancora la, piuttosto castigata, biancheria intima.
    Era di color carne e per questo all'inizio aveva pensato che lei fosse nuda ma c'era. Tutta ed intatta.

    Emise un sospiro di sollievo.
    Non era mai accaduto che si fosse svegliato accanto ad una ragazza con la quale avesse passato una notte di passione indossando ancora i pantaloni e con lei con ancora indosso la biancheria.

    Allora forse non era davvero accaduto nulla.
    Tirò un altro sospiro di sollievo.
    Probabilmente, si disse speranzoso, era arrivato per primo in quella cabina, e quando lei vi era entrata, dopo che si era svestita, lo aveva notato sotto le lenzuola e si era addormentata li. Per terra.

    O almeno sperava che così fosse andata. L'importante era crederci. Non aveva davvero voglia di svegliarla per sapere come erano andate le cose in realtà. Poteva essergli fatale.

    L'alternativa più valida era filare via il più silenziosamente possibile. Confidare che neanche lei non ricordasse, fare finta di nulla e sperare per il meglio.

    Non era una comportamento onesto e onorevole ma al momento era tutto quello che riuscisse ad elaborare. In fondo più spazio metteva tra lei e la sua testa, maggiore era il tempo che aveva di trovare una ragionevole argomentazione per convincerla a non staccargli la testa.

    D'accordo allora. Piano piano, raccogliamo il resto dell'uniforme e senza far rumore usciamo dalla gabbia prima che il leone...pardon la leonessa si svegli...

    Purtroppo tutti i suoi buoni propositi andarono in fumo quando il comunicatore sulla sua giacca risuonò come un tuono nella cabina.

    "Knight a Newport: A rapporto in plancia prego."

    La testa dell'ufficiale della sicurezza scatto il alto come una molla. Occhi cerchiati e furenti lo squadrarono e lui non aveva spazio per arretrare.

    Altro che leonessa. Quella che lo fissava era una furia della dimensione di una tragedia greca.

    Ora si che erano guai.



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