Nessun luogo, nessun tempo
All'inizio vi erano solo il buio e il silenzio.
L'universo era freddo e vuoto e privo di vita. L'universo era un luogo molto tranquillo, allora.
Poi la dea Kep'k aveva aperto quell'immensa oscurità e vi aveva sbirciato dentro. A quel tempo, la dea era giovane e le era permesso di sbirciare in tutti i molteplici universi che componevano il mondo. Come tante scatole, alcune piene e altre vuote, popolavano la casa degli dei.
A Kep'k piacque molto quell'oscurità e penso che sarebbe stato molto bello popolarla di luci e forme e colori, perché questi ultimi avrebbero mostrato maggiormente quanto fossero meravigliosi il buio e il silenzio. Così la dea Kep'k aveva allungato la mano fino al centro esatto dell'universo e dalle sue dita era scaturita una scintilla, la prima.
Dopo ne erano seguite altre, molte altre. Lo spazio aveva cambiato forma, il tempo si era ripiegato su sé stesso e poi si era espanso di nuovo. La materia si era addensata ed era collassata, per poi addensarsi di nuovo. Tutte le cose avevano avuto inizio.
Pianeti grandi e piccoli, soli, galassie, filamenti di materia che si allungavano nell'oscurità e nel buio, che non erano mai stati così belli.
Per qualche tempo la dea Kep'k si compiacque di quel che aveva creato. Gli altri dei apprezzavano la cura che aveva messo nel creare ogni cosa in quella piccola scatola vuota.
Era stato un gioco molto bello, ma ormai era finito. La dea richiuse la scatola e per molto tempo l'universo rimase sostanzialmente immutato.
Poi, un giorno, Kep'k fece ritorno. Aveva creato molti altri universi, riempito molte altre scatole, ma quello era stato il primo e nel cuore della dea occupava un posto speciale. Riaprì la scatola e vide che l'universo era ancora bello bello e splendente come lei lo aveva lasciato. Ma la dea ora era più vecchia e più saggia e vide anche che l'universo era vuoto, molto più vuoto di prima. C'era la materia, certo, e c'era l'oscurità resa ancora più bella dalla luce. Ma mancava qualcosa.
Così la dea creò i Kep.
I Kep erano un popolo pacifico e meraviglioso, curioso e pieno di desiderio di esplorare. In breve tempo, sotto la guida della dea, i Kep si espansero ovunque nell'universo, raggiungendo gli angoli più remoti della scatola. Crebbero e si moltiplicarono e vissero per moltissimo tempo in armonia con il creato e tra loro.
Poi un giorno, la dea Kep'k, come già era accaduto in passato, si stancò di quell'universo e lo abbandonò. I suoi figli non capivano per quale motivo se ne fosse andata, per quale motivo li avesse lasciati. La loro disperazione fu terribile e profonda come l'oscurità stessa.
Poi due fratelli, Kepunk e Kepank, decisero di cercare la dea.
Il loro popolo all'inizio li derise e li schernì. Com'era possibile cercare una dea, la madre di tutte le cose e di tutti loro? Come avrebbero potuto due piccoli esseri, due Kep, trovare la creatrice del loro universo? Ma la disperazione per l'assenza di Kep'k era tale e tanto grande che alla fine quella parve essere l'unica possibilità. I Kep costruirono una nave, la più bella e la più potente che il loro popolo avesse mai visto e la donarono ai due fratelli, perché questi potessero trovare la dea.
Kepunk e Kepank partirono. Inizialmente i due fratelli collaborarono, d'accordo sulla rotta da seguire. Ma col tempo e con la mancanza di risultati della loro ricerca, si divisero. Kepunk credeva che la dea potesse essere trovata solo continuando a cercare in lungo e in largo nella spazio, Kepank riteneva invece che l'unico modo per trovare la madre fosse cercarla all'interno del loro spirito.
Nessuno sa come e quando i due fratelli si divisero o se la loro ricerca ebbe successo. Nessuno dei due fece più ritorno.
La loro scomparsa accrebbe le diatribe tra i Kep, il cui popolo si spaccò in due fazioni, ognuna schierata con uno dei sue fratelli. La grandezza dei Kep cominciò ad offuscarsi. Col tempo, altre creature popolarono l'universo. Non erano figli della dea come i Kep, bensì degenerazioni di quello che una volta loro stessi erano stati. Queste creature presero il loro posto e i Kep rimasti decisero di andarsene. Non potevano lasciare quell'universo senza l'aiuto di Kep'k e nel caso lei fosse tornata, così si isolarono in una piccola zona di spazio, lontano dalle creature che avevano infestato il loro universo, invisibili ai loro occhi, in attesa del ritorno della madre. Quando lei fosse arrivata, loro sarebbero stati pronti.
Luogo indefinito - Tempo indefinito
Alla scomparsa di Hesse, Margret si lasciò sfuggire un'imprecazione andoriana particolarmente colorita che strappò un'occhiata incredula al timoniere, un mezzo sorriso ad Hana e lasciò perplessi tutti gli altri. La donna poteva anche non aver capito il termine in se stesso, ma certamente ne aveva colto il sentimento.
Il primo ufficiale si voltò come per contare i presenti e sincerarsi che nessun altro se ne fosse andato. Quindi si voltò verso la betazoide.
"Consigliere, non percepisce più il capitano, immagino."
"No, Signore. E' sparito, come gli altri."
"E si è portato via il pennarello," aggiunse Hair, in tono piatto.
"Già. Sembra una specie di teletrasporto."
"Potrebbe," confermò l'ingegnere. "Ma non ho mai visto nulla del genere."
"No, nemmeno io. Infatti." Margret tornò a rivolgersi ad Hana. "Anche questi grigi, come li ha chiamati lei, non sono qui al momento, giusto?"
"Giusto," rispose il consigliere. Il suo tono era sicuro, ma aggrottò leggermente le sopracciglia come se stesse sforzandosi di sentire qualcosa in mezzo ad una gran confusione.
"Bene."
Per un istante il primo ufficiale rimase immobile, le antenne tese in avanti, in evidente riflessione sul da farsi.
"Bene," ripetè poi. "Dato che luci sono accese, muoversi sarà meno difficoltoso. Rimaniamo uniti e continuiamo il più possibile in linea retta." Il tono dell'andoriana era secco. Se c'era esitazione in lei, non lo dava a vedere, quasi che l'idea di muoversi, il prossimo compito su cui tutti loro erano focalizzati, le permettesse di escludere pensieri pericolosi. Come il fatto che non avevano idea di dove andare, di cosa cercare o di dove fossero.
La forza della sua autorità, comunque, li fece muovere.
"Consigliere, vorrei essere avvertita di ogni cambiamento. Se arriva qualcuno, se qualcuno se ne va, voglio saperlo subito."
La donna annuì una volta in senso di assenso.
"Bene, muoviamoci."
Il gruppetto camminò in silenzio per un po'. Ogni tanto qualcuno appoggiava qualche commento sulla qualità del materiale delle pareti o sulla tecnologia dell'illuminazione, ma le chiacchiere furono estremamente limitate. La situazione non era mai stata particolarmente favorevole e le continue sparizioni dei loro compagni non contribuivano a migliorare lo scenario. Inoltre, questi Kepank, o Grigi che dir si volesse, non si erano dimostrati, almeno per il momento, affatto attendibili. Come se non bastasse li avevano messi in guardia nei confronti dei Kepunk.
"E questi altri tizi, i Kepunk, chi sarebbero, fra l'altro?" domandò Hair, a nessuno in particolare, con sconvolgente tempismo. "Mi ricordano Pinco Panco e Panco Pinco e sembrano quasi altrettanto orridi."
Tutti i non umani della combriccola parvero decisamente perplessi e Hair si sentì in dovere di spiegare. "Oh, si tratta di personaggi letterari. Due fratelli, da "Alice nel paese delle meraviglie". La protagonista li incontra dopo essere caduta nella tana del Bianconiglio."
"Alice era molto piccola?" domandò Shnar.
"Nella norma," rispose Glasgow, le sopracciglia leggermente inarcate. "Perché?"
"Perché allora doveva essere la buca ad essere bella grossa."
"Proprio come questa," si inserì Margret.
Poco più avanti rispetto al gruppetto, il primo ufficiale era in piedi sul bordo di quella che sembrava essere, in effetti, un buco nel pavimento del corridoio. Non si trattava di una bottola, né di un danneggiamento del pavimento. A ben guardare, non era nemmeno una vera buca. Semplicemente, al centro esatto del corridoio, una parte del pavimento era stata sostituita da una lastra di materiale trasparente simile al vetro. Al di sotto era visibile parzialmente un'altra stanza. All'interno erano ospitate una serie di capsule, simili ad unità di stasi.
Tre di esse ospitavano, immobili e ad occhi chiusi, Hesse, de Chirico e la Alluso.