“Ti farò pentire… Tu e la tua piccola stupida umana!”
Respirò a fondo, poi si rimproverò per l’aria sprecata, tornò a tendersi verso il pugnale.
Al terzo tentativo il pollice si infilò nella fessura, sfilò l’impugnatura per un centimetro. Ci vollero altri due tentativi per snudare la lama, ma infine esultò, tenendo l’arma solidamente nella sua destra.
Quasi rise di sé.
Tutta la ginnastica cui aveva costretto il suo corpo alla fine aveva avuto uno scopo, vero?
Avvicinò il pugnale alla propria guancia. Secondo la Via di Kahless, un klingon non doveva mai farsi catturare vivo, ricordò. Se catturato, doveva uccidersi se voleva avere un posto nello Sto-Vo-Kor insieme agli eroi.
Ba’Kadh sorrise.
Aveva in programma un uso migliore per quel coltello che usarlo per il suo Heg’bath.
Quella cassa non poteva poi essere così dura…
Il tunnel era sempre più stretto e poco illuminato. Le paratie impregnate di anni di vapori grassosi emanavano un odore acido misto a muffa, che prendeva alla gola e rendeva faticoso respirare.
Il Tenente Riccardi avanzava con cautela, tenendo alto di fronte a sé lo schermo del proprio tricorder per illuminare il percorso coperto da cavi insidiosi, che spuntavano e scomparivano in maniera apparentemente casuale dalle paratie.
Riccardi sapeva che al di là delle paratie c’erano i negozi ed i ristoranti della Passeggiata, ma non avrebbe saputo dire con esattezza quale dalla distanza percorsa dal bar che era stato il luogo del delitto.
Forse avrebbe dovuto chiamare il Comandante Shivhek per guidarli, pensò il Capo Sicurezza, chinandosi per oltrepassare i cavi pendenti di un condotto. Per fortuna, le tracce del passaggio del killer erano ancora abbastanza chiare, anche se ormai erano passate alcune ore dall’omicidio.
Alle sue spalle, riusciva a percepire appena la presenza di Feyd Rautha.
Thompson, più indietro, nonostante l’addestramento faceva rumore… forse per colpa della sua struttura pesante, da pugile. Il cardassiano invece si muoveva senza far rumore. Lo innervosiva sapere quell’uomo così vicino. Riccardi si chiese se Rautha si aspettasse di trovare l’assassino, al termine di quel tunnel.
Probabilmente no, decise, come del resto non se lo aspettava neanche lui. Eppure, non aveva fatto alcuna obiezione a quella marcia nei tunnel di servizio della Base.
Aveva capito di essere monitorato?
Erano arrivati ad una biforcazione. Una parte del tunnel proseguiva lungo il piano interno della Passeggiata, mentre l’altra scendeva in verticale lungo una sorta di tubo di Jeffries, compresa una stretta scala a pioli. Si inginocchiò per accostare il sensore del tricorder ai primi gradini della scala.
C’erano tracce di DNA.
Cardassiano.
Sangue.
“È passato di qui.” concluse, girandosi appena in direzione di Rautha.
Si infilò rapidamente nel condotto, poggiando i piedi sui gradini che aveva appena scansionato.
“Dove portano questi condotti?” domandò Rautha, a bassa voce.
Riccardi resistette alla tentazione di abbassare a sua volta il tono. Che senso aveva?
L’assassino non era là sotto.
“Il piano immediatamente inferiore a questa zona della Passeggiata è destinato ad area di stoccaggio. Magazzini di servizio per i negozi ed i ristoranti.”
“Se ci sono dei magazzini, ci saranno anche delle apparecchiature di teletrasporto merci, vero?… - chiese l’altro - Se si è teletrasportato, potrebbe essere dovunque.”
“Certo, ci sono… anche se non omologati per il teletrasporto di esseri senzienti… - rispose Riccardi - Comunque, tutti i teletrasporti da e per la Base sono monitorati: se il nostro assassino avesse utilizzato uno dei trasporti merci, basterebbe isolare il segnale ed avremmo tutti i dati del trasporto… Compreso il suo DNA.”
“Naturalmente. - commentò Rautha, di nuovo a voce bassa, ma non tanto da non poter essere udita - Il suo DNA.”
“Che vuol dire?”
“Nulla, nulla…”
* Ha notato che non abbiamo trovato tracce del DNA dell’assassino… - comprese Riccardi - E si sta chiedendo come mai. Ha voluto farmelo capire, con quel commento… *
Adesso, non ci sarebbe voluto ancora molto prima che capisse la natura dell’omicida e loro avrebbero perso uno dei soli due punti di vantaggio che avevano sui cardassiani. Forse non era stata una buona idea trascinarsi dietro Rautha in quella inutile ricerca…
Erano arrivati al piano dei magazzini.
Riccardi scese dalla scaletta e si inoltrò nel corridoio per permettere agli altri due di seguirlo.
Le luci si accesero al passaggio, rivelando un condotto molto più largo ed ampio di quello che avevano appena lasciato. Da entrambi i lati del corridoio c’era una serie di porte numerate. Rautha si fermò di fronte ad una di esse.
“Questo simbolo?” chiese, indicando una scritta posta sopra la serratura.
“Ogni affittuario di un magazzino può inserire una personalizzazione nell’etichetta, per distinguerlo meglio dagli altri. Per la maggior parte, si tratta semplicemente del nome dell’affittuario nella sua lingua di origine, ma c’è anche chi ha messo il nome di un fiore, quello del suo compagno o compagna, una frase di buon augurio e via dicendo. Quello per esempio… - accennò alla figura stilizzata che il cardassiano aveva appena indicato - …è un ideogramma in una lingua terrestre, il cinese.”
“Interessante. Ma più interessante ancora è che ci siano macchie di sangue sulla tastiera della serratura.”
Riccardi si avvicinò, puntando il tricorder. Positivo, c’erano effettivamente piccole macchioline di sangue cardassiano su alcuni tasti della serratura.
“L’assassino è entrato qui.”
“Può aprire questa porta?”
Il Capo Sicurezza non perse tempo a rispondere.
Compose il proprio codice di identificazione sulla tastiera. La porta si aprì.
Un leggero sibilo colpì i suoi nervi, insieme ad un grido d’avvertimento di Thompson.
Fece un balzo indietro, sentendo nell’aria il familiare odore d’ozono, di polvere bruciata, ed il calore al braccio gli strappò un urlo mentre cadeva a terra. Avvertì, senza distinguerle, parole concitate quindi il mondo svanì attorno a lui.
T’Lani dovette perdere un istante per analizzare e reprimere la propria reazione.
Non aveva previsto un attacco così diretto da parte del Legato Varen, e questo era stato un errore da parte sua. Ma adesso doveva accettare la partita così come l’altro la stava impostando, oppure avrebbe dovuto cercare di imporre un suo gioco? E quanto sapeva in realtà Varen della situazione?
“Che io sappia, le indagini sono ancora in corso… - disse, in tono studiato - Il Signor Riccardi non mi ha ancora parlato di possibili moventi per il delitto. Lei ha nuove informazioni che vuol condividere con me?”
“Credo sia mio dovere fare il possibile perché il colpevole sia il più presto possibile affidato alla giustizia cardassiana … - alzò una mano, per prevenire il moto che veniva da T’Lani - Sì, mi rendo conto delle sue obiezioni. Il fatto è avvenuto in territorio federale. Sono consapevole che ci sarà una controversia su chi dovrà condannare il colpevole e dove avverrà la condanna. Ma… - gli occhi gli luccicarono in una maniera che la donna trovò deplorevole - …per prima cosa, dovremmo pensare a prenderlo, il colpevole, non crede? Prima di iniziare a discutere sul suo destino… e su come o dove pagherà per il suo delitto.”
“Accantoniamo quindi questo lato della questione. Allora… Ha parlato di un movente. Posso chiederle che cos’ha in mano, Legato Varen?”
“Si tratta dell’Ambasciatore K’ooD.”
T’Lani non finse di essere sorpresa.
“Ed il movente sarebbe?”
“Il mio Attendente aveva ricevuto in patria delle informazioni, che riguardavano il comportamento dell’Ambasciatore Klingon su questa Base. - disse il cardassiano - Aveva appuntamento con la sua fonte. Questa persona aveva promesso di fornire prove su… Diciamo alcuni aspetti poco gratificanti della personalità dell’Ambasciatore. Aspetti… - sottolineò la parola con enfasi - …disonorevoli.”
“La sua fonte è una spia? Un agente cardassiano?”
“No… Solo una persona non particolarmente affezionata all’Ambasciatore… - rispose il cardassiano - Ecco la mia teoria. Qualcuno scopre l’intesa. K’ooD viene a sapere dell’incontro. Impedisce alla persona che sta per tradirlo di andare all’appuntamento con il mio Attendente. Al suo posto, manda uno dei suoi… Una persona di sua assoluta fiducia, per sapere di cosa Jared era già venuto a conoscenza. Jared però, vedendo arrivare una persona differente da quella che si aspettava, ha una reazione… C’è una colluttazione, ed il mio Attendente finisce pugnalato. Con un pugnale klingon.”
“Mi perdoni, ma a parte l’ovvio fatto che Jared è stato pugnalato da un’arma di fabbricazione klingon, che peraltro in una Base come questa, chiunque potrebbe procurarsi facilmente, non vedo molti elementi a sostegno della sua teoria.”
“Dimentica l’appuntamento.”
“Non l’ho affatto dimenticato, Legato Varen. Come non posso ignorare che lei non ha fatto alcun nome… E mi chiedo se in realtà lei sappia con chi Jared doveva incontrarsi. Ma, a parte questo, vorrei solo farle notare che nessun membro della delegazione diplomatica klingon ha lasciato improvvisamente la Base o è stato vittima di qualche incidente. Non di recente, almeno… Dunque, secondo la sua teoria, che fine avrebbe fatto l’ipotetico traditore?”
“Il traditore esiste e non è affatto ipotetico… - ribatté secco Varen - …Jared è andato nel retrobottega di quel bar appunto per incontrarlo.”
“Sia pure… Ma perché ipotizzare una seconda persona? Potrebbe essere stato il traditore stesso ad uccidere Jared. Magari perché non si sono accordati sul prezzo. Oppure perché riteneva di non proseguire con il tradimento. O perché le prove che avrebbe fornito a Jared erano palesemente false… Come vede, le teorie possono essere molte e contrastanti le une con le altre.”
“Quello che vedo io è che lei, T’Lani, non ha alcuna intenzione di considerare l’idea che K’ooD potrebbe avere a che fare con l’omicidio.”
“Non c’è alcun bisogno di attaccare me, Legato… - ribatté T’Lani - Le posso dire che ho una mia opinione della personalità dell’ambasciatore K’ooD, una opinione che non deriva da un attaccamento sentimentale, sono una vulcaniana non ho sentimenti da difendere, ma da anni di osservazione. La persona che ha contattato il suo attendente aveva informazioni differenti? Bene, ho bisogno di vederle anche io e di sapere se sono valide ed attendibili prima di cambiare la mia opinione.”
“E se le portassi quelle prove?”
Naturalmente, pensò T’Lani in un lampo.
È questo che Varen vuole sapere, per questo ha voluto vedermi prima della riunione: se la Federazione è disposta ad abbandonare K’ooD al suo destino nel caso che lui riesca a provare il suo coinvolgimento in un disonorevole omicidio…
O in qualunque cosa che il traditore abbia promesso al defunto Jared. No, non potrei farlo, perché vorrebbe dire anche danneggiare il rapporto della Federazione con due importanti ed influenti casate klingon, e quindi con l’Impero Klingon stesso.
Ma devo prendere tempo…
“Se lei mi portasse quelle prove ed io potessi esaminarle e valutarle… - disse T’Lani lentamente, fingendo di ignorare il lampo di soddisfazione che illuminava gli occhi dell’altro - …potrei anche modificare le mie opinioni. Ma non fino ad allora.”
L’uomo si alzò dalla poltrona e T’Lani si affrettò ad imitarlo.
“Non la trattengo oltre. Sono sicuro che ha molte cose da preparare in vista della riunione di oggi. Ci vedremo lì.”
Si congedò con un cenno del capo.
T’Lani lo guardò uscire, prima di sedersi di nuovo alla propria scrivania.
* La riunione, pensò T’Lani. È alla riunione che presenterà le prove contro l’ambasciatore, di qualunque cosa si tratti. Per avvalorarle, parlerà dell’omicidio dell’attendente e della sua teoria. K’ooD potrà anche difendersi, ma la sua reputazione, il suo onore saranno in pericolo. E con l’onore dell’Ambasciatore, anche i nostri rapporti con i klingon… *
Avvertì il suono del comunicatore.
=^= Capitano Spini ad ambasciatrice T’Lani. =^=
“Qui T’Lani. Mi dica, capitano.”
=^= Dobbiamo fermare quella mutaforma, una volta per tutte. =^=
L’allarme.
Non un semplice allarme: qualcuno era entrato nel magazzino. Lei guardò la luce rossa intermittente sul proprio monitor, per un momento incerta sul da farsi.
Certo, poteva anche trattarsi di un semplice ladro, ma era anche possibile che la sicurezza avesse iniziato a perquisire tutti i magazzini lì intorno, arrivando al suo. Chiunque fosse, doveva aver incontrato la piccola sorpresa che aveva lasciato per gli impiccioni. Sarebbe bastata per qualunque ladro… Ma non per la sicurezza della Base. Forse era stato un errore usare un magazzino così vicino al luogo dell’appuntamento con il cardassiano. Fortunatamente, aveva distrutto l’apparecchiatura di comunicazione con tutto il suo contenitore, ma c’era sempre quella cassa di monotanio.
* Devo liberarmene! Immediatamente… *
Dalla sua consolle entrò nel computer principale della Base usando una identità simulata e trovò il sistema di controllo del teletrasporto del magazzino. Le casse erano tutte numerate e dotate di un segnalatore, quindi non era difficile rintracciare il segnale di quella che stava cercando.
Tamburellò un istante con le dita, per pensare alle coordinate di destinazione.
Non c’era modo di evitare che la sicurezza della Base vedesse il teletrasporto. Quindi, non aveva molta scelta, se non voleva che i federali la trovassero.
Le sue dita composero dei numeri, quindi premette il pulsante del controllo a distanza.
Il computer le chiese se era certa della destinazione.
“Sì, dannazione! Muovi quella maledetta cassa!”
Premette di nuovo il pulsante.
Un beep confermò che il teletrasporto era andato a buon fine. Cancellò con cura dalla postazione le tracce del comando a distanza.
Si rilassò.
La sicurezza adesso non poteva arrivare a lei. E poi, la cassa era a tenuta stagna. La donna solida sarebbe sopravvissuta… Almeno per un po’.
C’erano stati rumori.
Un grido?
Il coltello le sfuggì dalle mani, al buio lo cercò, lo afferrò per la lama ferendosi al palmo.
Ba’Kadh ignorò il dolore, concentrata nel cercare di capire l’esterno.
Erano venuti i suoi rapitori? Cosa volevano fare?
Avrebbe sgozzato il primo che avesse aperto la cassa, per Kahless! Afferrò il pugnale tra i denti, forzandosi di assumere una posa che le consentisse di balzare fuori non appena il campo di contenimento fosse stato spento.
Ma…
Una luminescenza l’avvolse.
Capì.
Un urlo rabbioso le sfuggì dalle labbra, un urlo che fu soffocato e morì non appena il contenimento si dissolse insieme alla luce del teletrasporto.
“Dove mi avete portata? - gridò - Maledetti, perché non venite qui a combattere con le armi in pugno invece di agire come dannati targ?”
La terrestre, pensò Ba’Kadh.
Può avere vissuto con un klingon, può parlare la nostra lingua, ma è sempre una umana che non sa comportarsi con onore. Solo una come lei può aver organizzato una cosa del genere…
Qualcosa non andava. Si rese conto di galleggiare liberamente all’interno della cassa.
Non c’erano rumori attorno… E poi… Cos’era quel freddo?
Il personale dell’infermeria era tutto attorno ad uno dei bioletti.
Il Capitano Spini individuò fra loro il Dottor Sonx. Si accostò, cercando di guardare il ferito oltre il muro brulicante degli infermieri.
“Dottore… come sta Riccardi?” domandò.
Mbeke si scostò, permettendole di vedere il terrestre disteso sul bioletto. L’uomo mostrava una larga bruciatura all’altezza di una spalla. Gli occhi apparivano infossati, su un volto bianco cadaverico.
L’uomo si voltò appena.
“Fortunatamente, sembra peggiore di quel che è… - disse, allegro. Il denobulano afferrò un ipospray e praticò una iniezione - Il nostro Capo Sicurezza sarà di nuovo fra noi fra cinque, quattro, tre…”
Riccardi aprì gli occhi.
“Come volevasi dimostrare. Sempre impaziente, il Comandante. Non mi ha neanche fatto terminare il countdown!”
“Sarà per la prossima volta… - disse, il Capitano Spini - …adesso voglio capire che cosa è successo. Posso fargli delle domande?”
“È stato un phaser… - intervenne Riccardi, a fatica - …io… Abbiamo individuato un magazzino. Le tracce di sangue del cardassiano portavano lì. Ma era una trappola…”
“Una trappola per voi in particolare? Chi sapeva che stavate seguendo quelle tracce?”
“Io… No… Non credo che fosse per noi… Solo per chiunque avesse tentato di aprire la porta del magazzino. Probabilmente c’era un codice d’accesso o qualcosa del genere per entrare… e noi non lo avevamo… - tacque un istante - Thompson… Thompson mi ha tirato via dalla linea del fuoco.”
Il denobulano si girò.
Sherja, seguendo il suo sguardo, vide il giovane agente della Sicurezza in piedi non lontano dalla porta.
“Se non lo avesse fatto, il phaser mi avrebbe preso in pieno. Mi ha salvato la vita…” proseguì Riccardi.
L’uomo era arrossito, vedendo gli sguardi dei presenti puntati su di lui.
“Io… Non ho fatto niente di straordinario… - si schermì - Solo… Quando ho visto il Comandante a terra, ho chiamato subito il teletrasporto d’emergenza. Qui, è stato il Dottore a salvargli la vita.”
Il Capitano Spini abbozzò un sorriso.
Faceva uno strano effetto, quel ragazzo con il fisico da peso medio ed in faccia il rossore di una collegiale. Un pensiero le attraversò la testa e si irrigidì.
“Un momento… E Rautha? Lui non è stato colpito?”
“No, Signore. Solo il Comandante Riccardi è stato colpito.”
“Che cosa è successo, poi?”
“Io… Io non lo so.”
“Ha lasciato Rautha il torturatore da solo?”
“Io… Ho solo pensato a portare il Comandante in infermeria il più presto possibile, Capitano!”
Sherja gli voltò le spalle.
“Dottore, mi rimetta in piedi Riccardi!” ordinò, infilando la porta.
“Computer… - chiamò il Capitano - …individuare Feyd Rautha.”
=^= Feyd Rautha non è a bordo della Base Spaziale. =^=
Il Capitano sbarrò gli occhi. Corse verso il turboascensore, premendo il comunicatore.
“Capitano Spini a Ingegneria. Comandante Shivhek, mi sente?”
=^= Qui Shivhek, Capitano. =^=
“Mi dica che non si è fatto sfuggire Rautha.”
=^= Rautha è esattamente qui sotto i miei occhi, Capitano. - rispose l’Ingegnere - E sarà meglio che venga qui a vedere anche lei… =^=
Freddo.
Il freddo eterno che penetra nelle ossa. Ba’Kadh si era raggomitolata come il bambino che non aveva mai avuto, cercando di trattenere dentro di sé un po’ del proprio calore.
Il gelo le arrivava attraverso il metallo della cassa. Una cassa a tenuta stagna, pensò lei.
Non sarebbe stata l’aria che mancava ad ucciderla. Quella sarebbe bastata finché qualcuno non avesse deciso di aprire lo strano relitto che navigava nello spazio. Un relitto con dentro il suo cadavere congelato dal freddo della morte.
Era strano morire sapendo di morire.
Ba’Kadh aveva sentito spesso parlare della morte. La morte eroica, degli uomini e delle donne che poi vivevano in eterno nella gloria delle canzoni e delle saghe dei poeti. Lei era cresciuta con quelle canzoni. Aveva imparato a memoria i poemi… odiandoli, come si odia tutto quello che viene imposto a scuola. Nessun poema avrebbe glorificato quella morte stupida, nel gelo e nel buio dello spazio esterno.
Nessuno avrebbe gridato per annunciare l’arrivo di un nuovo eroe nel paradiso dello Sto-Vo-Kor.
Non importava la sua famiglia, il suo perduto onore, chiunque l’avesse amata o odiata in vita.
Era sola. Stava morendo da sola.
Tremava.
Freddo. Freddo. Freddo.
Aveva ancora il coltello. Le dita erano raggrinzite sulla lama. Non avrebbe avuto la forza di piantarselo nel petto. Non poteva caderci sopra, non in assenza di gravità. Non avrebbe avuto neanche la consolazione di compiere il suicidio rituale. Non poteva intonare il canto dei defunti.
Era finita.
Maledetti… Maledetto… Maledetto il nome di chi mi ha fatto questo.
Che sia disonorato, ed i suoi figli fino alla settima generazione possano maledirlo…
Forse c’era ancora un’altra canzone che poteva cantare.
Con uno sforzo, allargò le gambe, puntellandosi alle pareti come uno scalatore. Richiamò tutte le forze di cui ancora disponeva per stringere la lama con entrambe le mani, quindi iniziò a scalfire la superficie interna della cassa. Non aveva luce, non aveva tempo né voglia di ricordare una scrittura che non fosse la sua, quindi doveva fare a memoria, cercando di sentire i graffi sotto le dita formare una parola.
Non sapeva se avrebbe avuto il tempo di completarla.
Doveva essere una parola sola, un solo messaggio per chi avesse trovato il suo cadavere. Chissà se sarebbe stato in grado di interpretarlo, o se magari sarebbe stata trovata solo fra cento anni, o mille, e quel messaggio non avrebbe avuto più senso della sua morte.
O della sua vita, così come l’aveva vissuta.
Ancora un’asticella. Un segno orizzontale. Il coltello le sfuggì, il graffio era più lungo di quanto avrebbe dovuto.
Fa niente, si disse, continua.
Continuò.
Non aveva più forze. Il suo corpo chiedeva di dormire, di abbandonarsi al sonno e poi alla morte.
Doveva tenere gli occhi aperti, nonostante il buio, nonostante il gelo che ormai non le faceva più sentire le gambe, doveva continuare.
Un’altra lettera ancora.
Il coltello sfuggì di nuovo, ma stavolta non lo riprese.
Cercò di leggere con le dita la parola appena scritta, ma ormai non aveva più sensibilità. Capì di stare nuovamente fluttuando, le gambe avevano smesso di fare presa alle pareti.
Con l’ultimo barlume di coscienza, pensò * Ho scritto il nome del mio assassino. Il nome di Elisabeth Stern… *
Adesso, era finita…
Era finita…
Era fini…